CALCIO E TASSAZIONE: L’EUROPA PERDE COMPETITIVITÀ RISPETTO AI PAESI EMERGENTI
il 4 Feb 2013, 10:02
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Le società di calcio italiane sono tenute al pagamento dell’Irap per le plusvalenze derivate dalle cessioni di mercato: questa ultima pronuncia del Consiglio di Stato ha messo in grave difficoltà il calcio italiano, che rispetto ad altri contesti (esempio Germania) diviene ancor meno competitivo e ciò non tanto rispetto alle super league europee, quanto piuttosto rispetto ai campionati emergenti. Ricordiamo che definiamo plusvalenza un aumento di valore entro un determinato periodo di tempo di beni (in questo caso i calciatori) e dunque una differenza tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di cessione. Dunque laddove la Roma cedesse in questa finestra di mercato De Rossi (cresciuto dal settore Primavera) ad un valore pari a 50 milioni di euro, vedrebbe in questo caso la sua plusvalenza tassata anche in termini di Irap, con evidente aggravio fiscale rispetto ad altre realtà nel mondo.
Sul tema già la Lazio del Presidente Lotito nel giugno 2011 ha sostenuto una “battaglia legale” presso la Commissione Tributaria per avvisi di accertamento per gli anni 2002 e 2003. Per i club dunque una vera e propria “spada di Damocle” che potrebbe far rivedere le logiche del principale elemento di sostentamento per piccoli e grandi club.
Veniamo ora alle finanze dei calciatori, che anche nei principali paesi europei, vedono oggi situazioni di minor favor rispetto a qualche anno fa. In Spagna i calciatori stranieri godono di un regime creato per “invogliare” il loro trasferimento in terra iberica. La norma nata per il settore della ricerca è stata utilizzata soprattutto da club come Real e Barcellona che possono così vantare un ulteriore appeal nei confronti dei talenti di tutto il mondo. Ma cosa prevede nel dettaglio il fisco spagnolo ? La norma afferma che scegliendo la qualifica di non residente, saranno soggetti a tassazione soltanto i guadagni conseguiti sul territorio spagnolo. Dunque contratti di sponsorizzazione esteri, gestiti da società non insediate in Spagna sono “esonerati” dal fisco. Dal 2012 il regime è mutato , con un ulteriore 6% di aggravio che fa spostare l’indicatore al 56% nei prossimi anni (ecco dunque il motivo per cui Osvaldo, Kakà ed altri calciatori di provienza dai club iberici guardano con attenzione a Germania ed Italia ed ancor di più verso Russia ed Asia).
In Inghilterra il regime fiscale valido sino ad aprile 2010 lasciava libertà ai club di corrispondere al fisco non più del 40% del salario netto. Da aprile 2010 l’aliquota per il primo scaglione di reddito è passata dal 40% al 50% per i redditi superiori alle 150 mila sterline. Dunque per i club inglesi non esiste grandissima differenza rispetto alla tassazione italiana. La competitività in questo caso si sposta sulla gestione degli stadi e del marketing, in cui da sempre la scuola anglosassone è leader.
In Francia sui calciatori abbiamo un tassazione che sfiora il 75% per tutti coloro che fatturano più di un milione di euro. In Germania il meccanismo di tassazione è molto simile a quello italiano. Passiamo da un’aliquota del 42% per i redditi tra i 50 mila ed i 250 mila euro, al 45% per i redditi superiori a 250 mila euro.
La logica di tutti gli Stati è dunque tassare i campionissimi che in un’economia caratterizzata dalla crisi , rappresentano “clienti privilegiati” dello Stato. Oggi solo i Paesi emergenti come la Russia possono vantare appeal nei confronti dei grandi campioni. Nel campionato russo abbiamo un 13% di tassazione non progressiva, contro il 56% della Germania. Concludendo occorre oggi più che mai puntare su marketing e gestione della sponsorizzazioni come leve di sviluppo competitivo dei nostri club. Il rischio è quello di divenire “succursale” di grandi league come ad esempio quelle di Russia o Cina, che non hanno oggi l’esigenza di tassare i grandi capitali e che utilizzano proprio queste disparità come ingrediente essenziale per attirare i grandi talenti.
Leonardo Lasala