NEMO PROPHETA IN PATRIA: NEL CALCIO SOLO CHI VINCE PUNTA SUI GIOVANI TALENTI
.A cura di Leonardo Lasala – www.ndbc.it
I recenti mondiali hanno confermato il valore dei settori giovanili. Ben sette undicesimi del team tedesco , terzo classificato alla massima competizione per nazionali nasce dal blocco Under 21, protagonista con l’Italia qualche anno fa , di scontri avvincenti. Iniesta, Pedro, Xavi sono i migliori prodotti del vivaio del Barcelona e rappresentano oggi l’ossatura del centrocampo più forte del mondo. In un calcio che dunque sembra vivere di grandi investimenti e di offerte stratosferiche da parte di petrolieri e presunti sceicchi, la politica dell’investimento mirato sul giovane campione sembra essere quella più sostenibile.
Negli anni Ottanta i meno giovani ricorderanno l’Atalanta quale serbatoio della grande Juventus di Trapattoni. Cremonese e Bologna divennero con il tempo altre fucine di talenti come Vialli e Mancini. Il Torino di Vatta, tecnico tra i più esperti a livello giovanile, sfornò talenti del calibro di Lentini, Bresciani, Cravero. La primavera del Napoli ha lanciato due dei difensori più forti degli ultimi 20 anni: Ciro Ferrare e Paolo Cannavaro, oltre ad una miriade di altri talenti che hanno fatto una carriera discreta in altri club minori. Negli anni 90 la Roma dei Sensi ha sfornato campioni come Totti, De Rossi, Amelia, Pepe ragazzi che hanno saputo conquistare i propri spazi anche in club che lottano da sempre per le massime competizioni.
Dunque Barcelona e Arsenal per fare due esempi recenti di club che puntano su grandi campioni formati nelle giovanili, non hanno dunque inventato nulla. Da sempre la politica dei club più organizzati è quella di puntare sul settore giovanile.
Secondo un articolo recente del prof . Toti , tecnico Federcalcio “la prima caratteristica di una struttura sociale che intende porsi con continuità l’obiettivo dell’efficienza è quella d’essere stabile nel tempo. Infatti, solo operando nella stessa direzione con gli stessi uomini, per un determinato periodo, si potranno utilizzare al meglio le risorse umane ed economiche che una società ha a disposizione.” Un aspetto prioritario è dunque la pianificazione, che nasce dagli aspetti più elementari e erroneamente scontati e che invece ancora una volta fanno la differenza, come ad esempio la qualità delle infrastrutture. I giovani devono avere la possibilità di allenarsi in maniera continua e di essere seguiti da professionisti in grado di lavorare non soltanto sugli aspetti tecnico-tattici e fisici , ma come nella tradizione di qualunque attività formativa , avere la capacità di influire anche sugli aspetti caratteriali e professionistici del giovane atleta. Non a caso un buon allenatore delle giovanili è prima di tutto un educatore, capace di lavorare sulla “dimensione umana” del giovane atleta.
Così come in prima squadra, oggi anche a livello giovanile si opera come equipe. Lo staff medico, il preparatore atletico, il mister e sempre più spesso anche un comunicatore e motivatore, rappresentano il fulcro tipico di un moderno sistema organizzato. Spesso parlando ad esempio di Cassano, si leggono dichiarazioni di Fascetti, suo primo allenatore, che evidenzia come sul giocatore sia mancato un lavoro di squadra, in grado di porre solide basi caratteriali e professionali ad un talento purissimo ed indiscutibile.
Quando si parla di sistema , di organizzazione e di equipe non è mai superfluo sottolineare la necessità di individuare sin da subito obiettivi minimi da raggiungere e ciò non in termini di risultato sportivo ma di crescita del collettivo come team in un determinato periodo di tempo. L’Ajax di Van Gaal alla fine degli anni Ottanta, utilizzava un unico schema di gioco dagli esordienti sino alla prima squadra, facendo assimilare sin dalla giovanissima età alcuni automatismi di squadra ai suoi campioni più rappresentativi. Un giovane poteva dunque essere inserito in prima squadra con tutte le possibilità di esprimere sin da subito il proprio potenziale, conoscendo a memoria i movimenti del team ed il lavoro da utilizzare. Anche Sacchi nel Milan degli anni Novanta, provò ad utilizzare questo sistema, inserendo in prima squadra i vari Mannari e Cappellini che pur non essendo campioni affermati, riuscivano ad inserirsi in tempi recor negli automatismi del tecnico di Fusignate.
In definitiva dunque, in un calcio che vede le grandi sempre più distanti in termini di capacità competitiva dagli altri club, appare prioritaria una seria politica di investimenti sul settore giovanile, capace di valorizzare talenti, competenze ed esperienze dei giovani ed al tempo stesso dello staff societario. Competere con i grandi team è teoricamente possibile se il tutto è programmato in termini di lustri, quinquenni capaci di offrire alla prima squadra talenti già pronti per il “grande salto” ed in grado di supplire alla eventuale tecnica non cristallina, con la conoscenza approfondita di schemi e capacità di movimento in grado di esaltare le proprie caratteristiche. Riusciranno i nostri team a resistere alla tentazione offerta dagli ultratrentenni , puntando sulla programmazione e sullo sviluppo di talenti cresciuti in casa ?