Aiuto, è scomparso lo 0-0
Quando lo indica la colonnina di mercurio (dicono) l’acqua diventa ghiaccio e ci mettiamo giaccone e sciarpa di lana. Quando ce lo affibbiavano in condotta, eravamo i discoli della classe e subivamo rappresaglie dai genitori. Quando il Pil scende sotto quel numero, un Paese è in crisi nera. E’ lo zero, signori. Anzi il doppio zero, il grande desaparecido della nostra serie A. Un tempo il pareggio senza reti era considerato uno dei tratti distintivi del nostro football, tutto alchimie tattiche e terra di difensori al titanio. C’era chi, non pochi tra gli allenatori italiani, considerava lo 0-0 come logico compimento della partita perfetta, senza alcun errore difensivo e strategico, sublimazione di un equilibrio assoluto. Le piccole si mettevano in trincea, spesso le grandi andavano a cozzare contro una testuggine di dieci assatanati pronti a tutto a protezione degli undici metri. E, fino a quattro stagioni fa, la percentuale delle partite senza gol superava agevolmente il dieci per cento: noi ci compiacevamo del nostro rigore tattico mentre in Spagna, Francia e Inghilterra gli attacchi allegramente vendemmiavano, le parttite finivano anche 6 o 7 a zero, e tutti a cercare i campionati dei nostri vicini di casa sulle parabole tv. Così la serie A si impoveriva, gli stadi si svuotavano lentamente, i grandi giocatori preferivano il fumo di Londra, la movida di Madrid, perfino il grigiore della Ruhr. Insomma, a forza di zero a zero siamo diventati riferimento tattico, abbiamo esportato allenatori come casse di Sassicaia ma il nostro appeal è calato assai.
Bene, siamo ad oggi. Autunno di grazia 2015, e lo zero a zero è salpato dal paese della difesa esasperata per prendere casa proprio lì, negli incantati Eden della grande Europa. Il dato parla chiaro: due zero a zero (due!) sulle ottanta partite andate in scena nelle prime otto giornate di A. Fatta eccezione per Carpi-Napoli e per il tristanzuolo derby d’Italia dell’altra sera, sui nostri disastrati campi si è sempre segnato: 2,61 di media-partita contro i 2,59 della Francia, i 2,54 della celebrata Premier, i 2,49 dell’opulenta Germania, dove pure l’equilibrio è tale che uno come Lewandowski (forte, per carità), può togliersi lo sfizio di metterne cinque in venti minuti. Meglio di noi (ma di poco) fa soltanto la Liga (2,73) dove però Real e Barça da sole fatturano oltre un terzo del totale in tema di gol.
Cosa è cambiato, dunque? Primo: le piccole non erigono più barricate ma sono state ducate da tecnici giovani e coraggiosi a giocarsela sempre e comunque. Dunque, le danno e le prendono e i gol sono figli di questo nuovo atteggiamento. Secondo: come la nazionale dimostra, non ci sono più i difensori di una volta. Dietro ai Chiellini, ai Bonucci, ai Barzagli si fativa a trovare ricambi (Rugani, Romagnoli, pochi altri) e i club sono costretti a ricorrere a improbabili ed esotici difensori che di certo non sono dei cerberi. Terzo: la scuola dei nostri tecnici sta cambiando, quasi tutti giocano con la difesa a tre o a quattro con fasi offensive molto curate: in una parola, primo attaccare e poi contenere. Quarto: finalmente sono tornati i grandi attaccanti. Tevez, Dzeko, Higuain, Bacca,
Kalinic, Morata, Mandzukic, Jovetic potevano godersi importanti ingaggi altrove, ma hanno scelto la serie A perchè qui finlamente si segna, si gioca, si rischia. E quando c’è il talento c’è lo spettacolo. Con buona pace di Annibale Frossi, secondo cui lo zero a zero era il risultato perfetto.
iltirreno