Brignoli, se il gol più bello può essere di un portiere
ROMA – In tuffo, di testa, palla all’angolo e pari al 95’. Alberto Brignoli e il suo gol al Milan è lanciato verso l’happy ending, come nella liturgia delle favole. Il timbro dell’attuale portiere del Palermo, realizzato quasi un anno fa con la casacca del Benevento ai rossoneri – prima gara in panchina per Rino Gattuso e primo punto per i campani in Serie A doo 14 sconfitte in fila -, è tra i candidati al riconoscimento come miglior rete dello scorso torneo, con premio consegnato il 3 dicembre, durante il Gran Galà del Calcio.
Anzi, al momento è la marcatura più votata, Brignoli avanti a consumati conoscenti del gol (12 reti prese in considerazione), da Icardi a Belotti, Chiesa e Bernardeschi, Luis Alberto e Pandev. Punte, mezzepunte, piedi al miele e poi lui, qualche presenza prima, panchinaro dopo quella storica rete al Benevento. Un Gronchi rosa, il portiere che segna: l’irrazionale che dà scacco agli schemi non scritti del pallone, alla strategia. Ma anche un regalo per i ragazzini piazzati in porta sui campi sterrati ma che vogliono giocare a calcio e fare gol, magari relegati in porta perché meno bravi con i piedi.
Anche se il mestiere del guardiano del faro si è evoluto. Quattro, cinque passi più avanti, un libero aggiunto. Un pezzo imprescindibile del giro-palla, lanci di 20-30 metri per i compagni (ma Reina e il napoletano Ospina si spingono anche oltre). Nei top club europei ci sono solo piedi buoni, da Navas/Courtois al Real Madrid, Ter Stegen/Barcellona, poi Ederson, De Gea, Kepa in Premier League, Neuer al Bayern Monaco. Anche se Carlo Ancelotti, nella prima conferenza stampa da allenatore del Napoli, a proposito dei suoi portieri ha provato a mettere i paletti, a sconfessare il trend: conta più il portiere che para.
I GUARDIANI ITALIANI DEL GOL, DA SENTIMENTI A RAMPULLA – Nella prima metà del Novecento, Lucidio Sentimenti, quarto dei cinque fratelli tutti con scarpini ai piedi, ha aperto il registro dei timbri dei portieri italiani. Rete su rugore con la maglia della Juventus all’Atalanta, poi altre quattro tra bianconeri, Lazio e Modena. Anzi con gli emiliani addirittura fece gol al fratello maggiore (1941). E sempre dagli 11 metri è toccato ad Antonio Rigamonti, anni’70, il vice Albertosi nel Milan del decimo scudetto, ma prima freddo dal dischetto con il Como.
Ma l’immaginario collettivo corre verso Michelangelo Rampulla, 1992, anche lui come Brignoli a segno a tempo scaduto, contro l’Atalanta, una visione, raccontò poi il portiere della Cremonese, che regalò flash, copertine, cucendogli poi addosso la maglia della Juventus per dieci anni. Eppoi nel 2001, Massimo Taibi (Reggina), contro l’Udinese. Invece cinque anni dopo era avvolto ancora dalla magia Mondiale Marco Amelia, terzo portiere in Germania, di testa a segno per il Livorno in Coppa Uefa, contro il Partizan Belgrado.
ROGERIO CENI, CHILAVERT, HIGUITA, PROFESSIONE BOMBER – In Sudamerica il ruolo portiere-goleador, soprattutto negli ultimi 20 anni, si è andato a mischiare con il mito. Per esempio, Rogerio Ceni, 1227 partite tra San Paolo e Selecao, e 129 reti, metà su rigore, il resto su punizione. E poi, Chilavert, carriera quasi tutta in Sudamerica (ma cinque anni tra Real Saragozza e Strasburgo), lento tra i pali, una certa tendenza al peso extralarge, con 54 timbri, otto con la nazionale paraguaiana, quasi tutti su penalty, poi punizioni e due centri su azione. Un bomber vero, confinato però alla linea di porta con Cesare Maldini commissario tecnico della sua nazionale.
Niente più tiri a gioco fermo, solo parate e rinvii. E flirtando ancora con gli anni ‘90 c’è Renè Higuita, gol, eccessi e scorpione, pallone che quasi lo superava dietro la schiena e poi colpito in tuffo con le suole, messo in scena per la prima volta a Wembley, 23 anni fa. Un numero da circo ma anche 41 gol, oltre a erroracci, come quello contro la Colombia ai Mondiali italiani, dribbling con la suola alla Zidane non riuscito su Roger Milla, con i Cafeteros fuori dai Mondiali..
Fonte: Repubblica.it