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Mondiali 2018, guida al Girone D

Un’applicazione pratica dei principi di Sampaoli: il gol del 3-0 provvisorio contro Haiti, segnato da Messi dopo un’azione caratterizzata dal possesso prolungato, lo scambio di posizioni tra i giocatori, la sovrapposizione del laterale sull’ala.

Coerentemente ai principi di Sampaoli, la scelta della rosa con cui l’Albiceleste si presenta in Russia ha finito per penalizzare uomini legati a uno stile di gioco troppo posizionale, capintesta Mauro Icardi, e premiare al contrario giocatori capaci di riempire gli spazi e dialogare al loro interno. Alternative polifunzionali (come Maximiliano Meza, che può giocare tanto sull’esterno che al centro del campo, o Ansaldi, che può essere utilizzato da laterale basso su ambo le fasce) e uomini dotati di una versatilità che possa garantire fluidità di posizione in campo – come sarebbe stato Lanzini se non si fosse rotto il crociato praticamente a una settimana dall’esordio – o potrebbero essere Banega e Enzo Pérez (chiamato all’ultimo momento a fare da ventitreesimo uomo in Russia).

Ciononostante, anche a causa della condizione fisica precaria di alcuni dei suoi uomini, Sampaoli sembra ancora lontano dall’aver trovato una quadra definitiva alla sua squadra, il suo ciclo continua ad essere schiavo delle urgenze e delle contingenze.

C’è un aspetto, però, che potrebbe rivelarsi massimamente interessante, e conferire all’Argentina una specie di equilibrio emotivo: cioè il fatto che il 65% della rosa – 15 giocatori su 23 – disputeranno in Russia il loro primo Mondiale, e più della metà dell’undici di partenza più plausibile sarà costituita da esordienti. Un dato che non è per niente da sottovalutare, considerando l’effetto che la camiseta albiceleste ha dimostrato di avere nell’ultimo quadriennio, caratterizzato dalle celebri tre finali perse e una qualificazione ottenuta in extremis, quando il dramma dell’eliminazione stava quasi per compiersi.

Il compito di fare la differenza, come quasi sempre ormai, sarà ovviamente demandato all’eroicità e alla maturità di Leo Messi, che trascende ogni equilibrio che Sampaoli potrà trovare per l’Argentina. Tutte le speranze e la fiducia di una rosa facilmente demotivabile, e in parte limitata, finiranno per poggiare non solo sui suoi piedi, ma anche – e soprattutto – sulla sua tenuta mentale, più che su quella di Sampaoli.

Quali sono i punti deboli dell’Argentina?

Fabrizio Gabrielli: Sampaoli non fa che ripetere che c’è solo un approccio possibile per le sue squadre: attaccare tutto il tempo. Il principale problema, quindi, ruota attorno alla capacità atletica dei suoi giocatori di reggere un ritmo del genere. La rosa argentina non è propriamente giovane: l’età media dell’undici titolare si assesta intorno ai trent’anni, e molti giocatori sono reduci da una stagione molto impegnativa. Inoltre non brillano per talento difensivo e il sistema di Sampaoli non sembra adatto a tutti i giocatori in rosa.

Il “Fideo” Di Maria, per esempio, non è più l’elemento disequilibrante sul quale poteva contare Sabella quattro anni fa. Il ruolo che gli ha ritagliato Sampaoli lo rende avulso dalla manovra, alienato sulle estreme propaggini della fascia sinistra, dove non ha più la brillantezza atletica di percorrere la corsia a tutto campo.

Lo Celso, che Sampaoli sta spesso utilizzando come volante de cinco, dimostra evidenti carenze quando è chiamato a supportare il centrale più arretrato nei compiti difensivi (quando cioè è chiamato a coprire la porzione di campo in cui ha giocato la partita più disastrosa della sua stagione, quella di Champions al Bernabeu): il fatto che offra meno garanzie proprio nella funzione in cui è più necessario potrebbe avere risvolti ferali.

Infine, paradossalmente, il punto debole più macroscopico dell’Albiceleste potrebbe rivelarsi quello del centravanti, un ruolo sempre piuttosto emblematico e problematico nella Selección. Nella stessa gestione Sampaoli si sono alternati almeno sei interpreti diversi, da Icardi a Benedetto, da Correa a Alario passando per i due in ballottaggio per il Mondiale, Agüero e Higuaín, che nonostante un rendimento eccellente a livello di club nelle ultime stagioni, con la Albiceleste è a secco da 8 partite (e ha segnato una sola volta, negli ultimi due anni). 

L’Islanda metterà ancora in difficoltà le avversarie del gruppo D con i lanci lunghi?

Dario Saltari: Ormai tutti conoscono il gioco dell’Islanda, ma se parliamo di possibili squadre sorprese dal suo gioco, escludendo la Nigeria che è l’unico avversario realmente abbordabile per la nazionale di Halgrimsson, direi che la squadra che potrebbe avere più problemi è la Croazia. Anche se l’Argentina potrebbe soffrire nella gestione delle seconde palle (l’altro grande punto di forza dell’Islanda), la squadra di Sampaoli ha una coppia di centrali davvero troppo forte nei duelli aerei (Fazio-Otamendi). La Croazia, invece, non ha ancora trovato un assetto difensivo stabile e tende a soffrire molto le palle alte, soprattutto da gioco da fermo.

C’è da dire, però, che rispetto a Euro2016 il gioco dell’Islanda è meno ossessionato dai lanci lunghi ed è leggermente più complesso. Un’evoluzione che è innanzitutto frutto della necessità: dopo il grave infortunio al ginocchio di Sigthorsson nel settembre del 2016, che l’ha tenuto fuori per circa un anno e mezzo, l’Islanda si è ritrovata costretta a cercare altre risorse che non fossero il lancio lungo verso l’enorme attaccante del Nantes.

L’Islanda è sempre una squadra iper-verticale che cerca di arrivare in porta con il minor numero di tocchi possibile, ma adesso cerca anche delle combinazioni veloci palla a terra in transizione, appoggiandosi alle qualità tecniche di alcuni giocatori molto peculiari come Sigurdsson e Halfredsson.

Il lancio lungo è ancora una possibilità – anche se ha cambiato bersagli: adesso si prova a raggiungere principalmente il terzino destro Magnusson o la punta Bodvarsson, entrambi alti un metro e 90 – ma non più l’unica.

Fonte: SkySport

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