Baraja: “Benitez come Mourinho, Napoli tra le squadre favorite per la conquista dell’ Eu League”
Una vita passata a rincorrere la palla. E puntualmente la recuperava. Non tirava mai via la gamba, lui che smistava il gioco come un geometra. Mentalità da Gattuso, piede educato come pochi, quando lanciava lungo ricordava il miglior Gerrard. “Ero più centrocampista, forse meno mediano, ma lavoravo tanto…”. Dalle sue parti, Ruben Baraja è una vera leggenda: una Coppa UEFA, una Supercoppa, due volte la Liga e una Coppa di Spagna. Tutte, dalla prima all’ultima, con la maglia del Valencia. “Giocavo in una grande squadra: Albelda, Rufete, Aimar… ci muoveva una gran convinzione e il fisico era dalla nostra parte. Fu un periodo eccezionale”. Riferimento di Benitez in campo, Rafa non lo toglieva mai: 116 le presenze, il record assoluto in diciassette anni da professionista. “Con lui ho avuto un buon rapporto, basato sulla fiducia. Il mister si relazionava bene con tutti. Era molto stimato”. Di testa, su rigore, destro o sinistro, faceva poca differenza: capocannoniere della squadra del primo Scudetto (7 reti), El Pipo ha sempre lasciato il segno. Lo ricorda con un sorriso: “Benitez era sinonimo di successo, con lui in panchina era tutto più facile, anche fare gol…”. Ma ora si trova dall’altra parte: “Mi porto dietro i consigli di Rafa e non li dimentico: i suoi insegnamenti mi hanno arricchito molto e adesso mi aiutano a lavorare per diventare un bravo allenatore”. Di passato, presente e futuro, l’ex bandiera del Valencia ha lasciato un’ intervista ai mirofoni di AreaNapoli.it
Cominciamo dalla fine: chi è oggi Ruben Baraja?
“Ex giocatore internazionale e, per il secondo anno, allenatore della formazione Juvanil A del Valencia, con cui ho vinto un campionato”.
Puoi vantare una carriera lunga e piena di soddisfazioni, qual è il tuo ricordo più bello? Hai qualche rimpianto?
“Ho dei ricordi stupendi, come chiunque abbia vinto dei titoli, e devo dire che nel Valencia furono tanti. Il rammarico maggiore è sicuramente per la finale di Champions persa a Milano nella mia prima stagione (sconfitta per 5-4 ai tiri di rigore contro il Bayern Monaco, ndr).
Cosa ti viene in mente se ti dico “Benitez”?
“Un gran lavoratore, un analista, costante in ciò che faceva e con le idee chiare. E’ sempre stato stimato e rispettato dai suoi giocatori”.
Con lui hai condiviso molto: prima al Valladolid, poi i successi a Valencia. Aiutaci a conoscerlo meglio: spiegaci com’è cambiato nel corso degli anni.
“All’inizio era forse più inflessibile, maggiormente fermo su certi concetti. Con il passare del tempo, ha imparato a modellarsi alle sue squadre, fino a diventare quello che è ora: un allenatore che si adatta come pochi a tutte le circostanze, in grado di gestire le situazioni calcistiche più disparate”.
E dire che a Napoli lo accusano esattamente del contrario… Ci hanno capito poco?
“Napoli è una città molto passionale. Se tutto va bene, i tifosi ti supportano e se i risultati non arrivano, devi sopportare tu una forte pressione e cercare di dare una svolta. Sono dell’opinione che il lavoro fatto da Benitez l’anno scorso debba dargli un credito notevole anche per il presente”.
Qual è il suo segreto? Una Coppa UEFA, una Supercoppa e due volte la Liga, per non parlare dei trofei in Premier e in Italia: da semisconosciuto a plurititolato, come si vince così tanto? Secondo te regge il paragone con Mourinho?
“Certamente sì. Una delle sue qualità principali è la perseveranza. Per descriverlo mi vengono in mente tanti sinonimi: costanza, determinazione, voglia di non mollare mai. E’ un lavoratore attento ai dettagli, un esempio di comportamento: ogni giorno il primo ad arrivare e l’ultimo a lasciare l’allenamento. Ha un ottimo rapporto coi giocatori e lo staff in generale, è molto sicuro del suo metodo di lavoro, che lo ha sempre ripagato”.
A riguardare le sue formazioni, due dati balzano subito all’occhio. Il primo: ha sempre voluto gente di carattere in mezzo al campo, come te, Albelda, Marchena, Xabi Alonso o Gerrard.
“Si, è vero, per lui è sempre stato così. Benitez predilige giocatori con una personalità spiccata, che pensino, che ragionino, che siano intelligenti, in grado di gestire qualsiasi circostanza. E, sopra ogni cosa, che lo aiutino nell’obiettivo comune, che contribuiscono alla causa, remando tutti dalla stessa parte”.
Il secondo: da Dudek a Canizares e Reina, tutti portieri d’esperienza e bravi con i piedi. Ti sorprende la scelta di Rafael?
“Le squadre di Benitez hanno una prerogativa: fanno partire le azioni da dietro, quindi dal portiere, che nella sua idea di gioco deve soddisfare alcune caratteristiche: avere esperienza, appunto, ed essere di caratura mondiale. Effettivamente con Rafael è diverso, si è deciso di puntare su un giovane. Bisogna avere pazienza e aspettare che completi il suo processo di crescita, se si vuole sperare che raggiunga certi livelli”.
Benitez parla spesso di “mentalità” come requisito ma anche come obiettivo. Qual è la differenza tra la mentalità italiana e quella spagnola? Cosa rende un allenatore, e quindi una squadra, davvero vincente e internazionale?
“La differenza è che un allenatore spagnolo conosce meglio tutte le sfaccettature di un giocatore spagnolo: sa come pensa e comprende prima il suo carattere. In sostanza, riesce ad approcciarlo meglio. La differenza con un grande allenatore spagnolo, però, è la sua visione. La mentalità nasce anche dalla capacità di adeguarsi. Ranieri, per fare un esempio, voleva inculcare il suo metodo italiano in Spagna, e nella stagione a Madrid non ha ottenuto i risultati sperati. Ancelotti è un discorso a parte. Se sta facendo così bene nel Real, c’è un motivo: è un grande, sa adattarsi alla rosa a sua disposizione e, così facendo, riesce ad ottenere il massimo rendimento e al tempo stesso a lasciare un’impronta, a dare alla squadra uno stile. Proprio come Benitez”.
Dove può arrivare il suo Napoli?
“Forse è un po’ presto per dirlo, alla lunga potremo giudicare con criterio quale sia il suo vero potenziale. Certo è che si tratta di un club che affascina per la storia, per il pubblico e per l’organico. Se a questo ci aggiungete che in panchina c’è Rafa Benitez, allora tutto diventa possibile. Se fossi un tifoso del Napoli, valuterei il lavoro complessivo della squadra”.
Oggi si va in campo al San Paolo contro lo Young Boys. C’è da stare tranquilli?
“A mio avviso il Napoli è una delle squadre favorite alla vittoria di questa competizione, vedrete che arriverà lontano. Avere Benitez in panchina, lo ripeto, è sinonimo di successo e ti dà la sicurezza di essere competitivi fino alla fine. Rafa allenatore più da coppa che da campionato? Il campionato è un’altra cosa. La Liga, ad esempio, è molto più complicata perchè affronti avversarsi con maggior potenziale”.
Qualcuno potrebbe avere da ridire: d’altronde la Spagna ha perso colpi a livello europeo e non solo, lo si è visto anche al Mondiale…
“Nel calcio è molto complicato far durare i cicli e ripetere i grandi successi. Il Mondiale – ammette Baraja ad AreaNapoli.it – è stato per noi una delusione: non si poteva immaginare che non avremmo superato nemmeno la fase a gironi”.
E’ più il movimento spagnolo ad essere in calo o quello tedesco ad essere migliorato?
“Il calcio spagnolo vive uno dei suoi momenti migliori. C’è chi parla di un periodo di flessione, ma la Liga resta ancora il riferimento numero uno in Europa”.
Eppure sei dei candidati al Pallone d’Oro vengono dalla Germania, per non contare Robben, Guardiola, Klinsmann e Loew. Blatter lo darebbe a Neuer, tu a chi lo assegneresti?
“A Cristiano Ronaldo, senza dubbio. Non a caso gioca in Spagna. Il nostro è il campionato ‘principe’, è così da molti anni”.
Quanto avete perso, quando Guardiola ha scelto la Bundesliga?
“Pep è un gran tecnico e vorrei che i migliori rimanessero in Spagna. Per questo insisto col dire che il nostro calcio resta il maggior esportatore di talenti, in campo e non solo”.
Qual è il vostro segreto? Come si coltivano i campioni del domani?
“C’è un gran lavoro alla base. Non lasciamo mai niente al caso e prestiamo molta attenzione alle categorie minori. D’altronde, è da lì che escono fuori i migliori prospetti. E’ un’operazione che richiede tempo ma che alla lunga ripaga”.
Meno corsa e più palla: così Benitez ha sorpreso tutti a Napoli con i suoi allenamenti. In Spagna, però, lo fate sin dai bambini…
“Esatto. Ciò che conta di più, qui da noi, è il controllo. A partire dai primi calci si insiste parecchio su quest’aspetto: bisogna imparare a governare il pallone, insegniamo prima di tutto come gestirlo, per sapere sempre cosa fare quando si è in possesso. Anche per questo, fin da quando sono molto piccoli raccogliamo buoni frutti”.
Chi è il giovane che ti ha maggiormente impressionato negli ultimi anni?
“Sono tre: Isco, Jordi Alba e Paco Alcàcer. Tutti, peraltro, provenienti dal vivaio del Valencia”.
Cosa ci dici di Bernat? Il Napoli sembrava interessato ma non ha mai affondato il colpo. Ora gioca nel Bayern.
“Il Napoli avrebbe dovuto scommettere su di lui: un calciatore dinamico e talentuoso, di prospettiva e con una situazione contrattuale molto favorevole al suo acquisto. Doveva puntarci”.
Hai visto da vicino Edu Vargas: è vero che non è pronto per il calcio italiano?
“Edu ha bisogno di un club che gli dia continuità. Deve sentirsi importante, diventare una bandiera, avere responsabilità. Con lui serve pazienza perchè ha un gran fisico e molto talento”.
All’Atletico la tua prima volta su una panchina, come vice di Manzano. Cosa si prova a stare dall’altra parte, a vestire tu i panni di Benitez?
“E’ stata in assoluto la mia prima esperienza a livello professionale dopo aver appeso gli scarpini al chiodo. Mi ha arricchito molto anche sul piano personale e in quel momento ho capito cosa sente un allenatore, come cambia il suo pensiero. Peccato per i risultati: in quel periodo non erano buoni”.
A Madrid hai allenato Mario Suarez. Secondo te farebbe comodo al Napoli?
“Diventerebbe un fulcro, un perno per la squadra. Quelli come lui hanno un altro passo. La sua velocità mentale e di esecuzione darebbero molta continuità al gioco, senza dimenticare il suo grande lavoro davanti alla difesa a coprire i due centrali”.
In quella posizione, nel Valencia, hai fatto coppia con un giovane Albiol.
“Raul aveva attitudini più difensive, io ero più centrocampista. Ci integravamo bene. Penso che in quel ruolo abbia dimostrato tutto il suo valore. E’ un calciatore di caratura internazionale e non a caso ha sempre giocando in grandi club”.
Avete più contatti da quando ha lasciato la Spagna?
“Albiol è un fanatico del calcio e ama fare esperienze nuove, in questo siamo molto simili. Abbiamo molte cose in comune. Di tanto in tanto parlo con lui e Benitez, ma meno di quanto vorrei. Rafa si è congratulato con me quando ha saputo che il mio Valencia aveva vinto il campionato Juvenil A. Ho conservato un bel rapporto con entrambi”.
Ti sorprende il rendimento di Callejon? In Italia circola voce che verrà convocato in Nazionale.
“Sta facendo molto per meritarsela. Viaggia a ritmi elevatissimi, i suoi numeri, dice ad AreaNapoli.it, sono sicuramente da Nazionale. E’ il capocannoniere e anche l’anno scorso le sue giocate sono valse tanti punti importanti al Napoli”.
Vedresti bene Benitez come successore di del Bosque? D’altronde, è stato il suo allievo…
“E’ obiettivamente uno dei papabili: Rafa ha tutto per essere un ottimo Commissario Tecnico. Per caratura e tempra, può rientrare tra i nomi giusti per sostituirlo”.
Ti piacerebbe ripercorrere le sue orme? Magari partendo proprio dal Valencia…
“A chi non piacerebbe! E’ l’aspirazione di qualsiasi ‘valencianista’, ma sono ancora in una fase di formazione, di crescita e di apprendimento. L’aver avuto Benitez come allenatore mi ha arricchito molto. Sono certo che i suoi insegnamenti mi aiuteranno anche in questa nuova tappa della vita e della carriera”.