Cannavaro e la sfida alla sua ex squadra: che brivido
Sette anni e mezzo e 280 partite varrebbero da sole a far tremare i polsi, però a questo bisognerebbe aggiungere la casa con vista sul San Paolo, l’infanzia ai bordi del suddetto campo a rincorrere i palloni dei grandi del calcio, la trafila nel vivaio, la fascia di capitano, la Coppa Italia alzata al cielo di Roma e un sangue azzurro che scorre nelle vene come un fiume in piena. Pausa. E riflessione: oggi Paolo Cannavaro avrà brividi e forse lacrime. E la sua sarà l’emozione di tutti quelli che non dimenticano quanto ha dato. E quanto gli è costato diventare un avversario del Napoli.
FINALE DI PARTITA. E allora, la copertina è sua. Dell’ex capitano che, da otto mesi ormai, è un giocatore del Sassuolo: arriva Rafa, il punto fermo diventa un uomo da panchina e l’addio si consuma. In prestito, per la precisione, con la possibilità di permanenza in caso di salvezza. Ecco, il finale della storia che oggi vedrà Paolo con la maglia nera e verde sfidare il Napoli per la seconda volta, dopo la prima esperienza del 16 febbraio, a due settimane dalle cessione, è questo: però alle spalle ci sono i sacrifici, una passione infinita, tante splendide giornate di calcio, le contestazioni tipiche riservate ai profeti in patria e poi qualche aneddoto.
PREDESTINATO. Il più bello dei retroscena? Beh, uno dei più belli della vita azzurro-Napoli di Cannavaro junior l’ha raccontato di recente Gianluca Pagliuca. I fatti. Era il 1995, e Pagliuca difendeva la porta dell’Inter di Hodgson: «Al San Paolo le cose andavano male: perdevamo 2-1, e nel recupero chiesi a un raccattapalle di passarmi velocemente il pallone per velocizzare la ripresa». Il giovanotto, furbetto e tifoso, invece lo allontanò, costringendo l’interista a recuperarselo da solo (di corsa). Tornando verso la porta, il portiere gli rifilò uno scappellotto, e poi negli spogliatoi rincarò la dose: «Oggi fanno queste furbate, domani magari diventano scippatori». A distanza di anni Pagliuca ha chiesto scusa per quanto fatto e detto in trance agonistica, e poi ha svelato: «Molto tempo dopo Fabio Cannavaro mi disse che quel ragazzino era suo fratello Paolo». Che a 14 anni già difendeva la porta del Napoli in A. Predestinato.
BANDIERA. Dopo la crescita, l’esordio in B e le parentesi di Parma e Verona, Cannavaro è poi tornato azzurro: ancora in B, nonostante l’offerta più ricca della Fiorentina. Una scelta che ha pagato, portandolo a guidare la squadra in campionato e in Champions, e poi nel 2012 a conquistare la Coppa Italia in finale con la Juve. Con Mazzarri: legame fortissimo, il loro. Come con la maglia: «Voglio restare a vita. Non m’immagino altrove», diceva sempre da quel tifoso immarcescibile che è. E invece, il calcio se ne frega: bye-bye. Ed è così che oggi, al Mapei e con il solito numero 28, Cannavaro giocherà con la faccia rivolta al Napoli. E se chiuderà gli occhi e poi li spalancherà, la scena non cambierà. Ma neanche la storia: Paolo sarà per sempre una bandiera azzurra. Di quelle che non si ammainano.
Fonte: Corriere dello Sport