Trapattoni: “Se Rafa va in vacanza è perché ha la squadra in pugno. Perché non ho mai allenato a Napoli…”
«L’eliminazione del Napoli a Bilbao mi fa venir in mente quando noi uscimmo dalla Coppa dei Campioni nel 1982 ad opera dell’Anderlecht: sembrava una tragedia. Alla fine però lo scudetto lo vincemmo noi per la capacità di ricaricarci e di trasformare quell’amarezza e quella mazzata incredibile in energia positiva». In realtà era il 1981, ma all’eterno Trap, classe 1939, dieci campionati nazionali vinti (in Italia, Germania, Portogallo e Austria), l’allenatore più vincente del nostro calcio con un curriculum di trionfi lungo come l’elenco telefonico di Tokyo, può essere perdonato tutto, anche una data sbagliata. Se i veri maestri servono soprattutto per orientarsi nella tormenta, benedetto Giovanni Trapattoni che spunta per osservare la stagione del Napoli da lontano, scuotendo la testa come i nonni disillusi. «Non c’è pazienza, eppure vince sempre chi ha il progetto più lungimirante».
Gli azzurri non faranno la Champions e qui la delusione è enorme.
Facile a dirsi alla Juventus: vincevate tutto voi in Italia… «Perché al contrario di piazze come Napoli e Roma non abbiamo mai vissuto quegli incredibili sbalzi di entusiasmo che rendevano e rendono ancora le città del Sud uniche al mondo. Ma che un po’ spaventano: non puoi vincere una partita ed essere trattato come un profeta e la domenica dopo perdere una partita e sentirti come uno che vacilla e che rischia il posto».
Per questo non ha mai detto di sì al Napoli? «Certo, anche per questo: Fiore e Ferlaino spesso mi hanno cercato, prima da calciatore e poi da allenatore. Io sono incantato dalla città, da Ischia e da tutto ciò che c’è intorno, che è magnifico. Liedholm, un grande maestro, mi ripeteva che vivere al Sud significava poter lavorare sul campo con maggiore continuità perché fa caldo otto-nove mesi all’anno e perché la gente è fantastica, coinvolgente, stimolante. Ma crea pressioni che spesso incidono sulle prestazioni».
Benitez ha staccato per sette giorni: è tornato a casa in Inghilterra. Lei lo ha mai fatto?«No, ma questo non significa che sia un errore. L’avrei fatto pure io qualche volta. È un segnale di grande padronanza della situazione: sa di avere in pugno tutto e se ne va per un po’. D’altronde lui è un rivoluzionario, non c’è nulla da stupirsi. Poi magari lo ha fatto anche peraltro».
Cos’altro? «In certi momenti non è il caso di tirare troppo la corda. Magari restare avrebbe significato tornare sempre a parlare delle stesse cose, degli stessi errori, riaccendere il fuoco. E allora per un po’ non si fa vedere e manda un segnale chiaro: rilassatevi, ne riparliamo».
Certo, geniale. «L’equilibrio, nel calcio, è come il filo del ragno. Basta un soffio e si spezza. Io sono certo che il Napoli di Benitez possa vincere questo scudetto».
Non è sfiorato dal sospetto che Juve e Roma siano superiori? «Benitez e De Laurentiis hanno puntato sulla continuità. Altri, sulla carta, sono superiori, però la realtà è quasi sempre diversa, più complessa. Per vincere occorrono squadra, allenatore e società. Se uno ha del cotone può realizzare un fazzoletto; se gli danno della seta, potrà tirare fuori un foulard. Ma se ha del ferro, anche girandolo e rigirandolo, ne ricaverà solo lamiera».
E Rafa cosa ha? «Higuain, Callejon e tutti quei nazionali sono seta purissima. Ma il calcio è un attimo, un’attenzione: io con l’Irlanda sono uscito fuori da un Europeo a causa di una rimessa laterale sbagliata al 92’».
Benitez inizia la stagione con il contratto in scadenza a giugno. Può essere un problema?«Non mollerà di un passo. Gli allenatori non sono i giocatori: il loro rendimento non dipende dalla durata dei contratti, dal sentirsi al sicuro per la stagione successiva. Figurarsi uno come Benitez. Io ne avevo uno lunghissimo con l’Inter e lo strappai. E lo stesso feci al Bayern e altrove».
Se lo dice lei… «Se Benitez andrà via a fine anno è solo perché ritiene che giunto a un passaggio al livello non può andare oltre quella barriera. Capita, qualche volta: quando per esempio credi che la squadra si sia talmente abituata a te che neppure ti ascolta più. E allora è giusto andare via. Ma non è detto che questo avvenga al Napoli».
Fonte: Il Mattino