Sarri vs Spalletti: idee elaborate in provincia sono l’essenza del loro calcio di oggi
Un giorno, quando allenava l’Empoli, chiedemmo a Sarri se in certi movimenti della sua squadra non ci fosse ancora qualcosa di Spalletti. Nell’uscita dal pressing avversario, per esempio, con quello scambio rapido e stretto del pallone in pochi metri quadrati. La risposta più che evasiva fu complessiva: «Può darsi, nelle mie idee di calcio c’è anche il riassunto degli allenatori che stimo». Stasera Sarri e Spalletti, ex allenatori dell’Empoli in epoche diverse, giocano a Napoli per il 1° posto in Serie A. Sono nati tutt’e due sulla panchina dell’Empoli. O meglio, Spalletti era in fasce quando divenne allenatore della squadra dove stava ancora giocando e dal ‘94 al ‘98 la salvò in C, la portò in B, la portò in A, la salvò in A e, per di più, le regalò una Coppa Italia di Serie C. Aveva 35 anni quando si mise a sedere per la prima volta sulla panchina del Castellani. L’altro, Sarri, aveva già fatto il giro della Toscana e anche di un pezzo d’Italia quando Fabrizio Corsi lo chiamò per riportare l’Empoli in A. Tre anni, un play-off in B, una promozione in A, una salvezza in A col calcio più appassionante di quella stagione. Non era una nascita, semmai una rinascita.
LA CULLA DEL GIOCO. Volendo si può risalire a Renzo Ulivieri, metà Anni Settanta. Anche allora l’Empoli giocava un bel calcio. Vent’anni dopo, con Luciano Spalletti, il 3-4- 2-1 degli azzurri sorprese il campionato di Serie A. Poi il rombo di Sarri e anche dopo è rimasto un calcio di livello, con Giampaolo e ora in B con Vivarini. E’ come un solco, una linea che ogni allenatore deve seguire. E’ un piacere per tutti e una sorpresa solo per chi crede che il calcio vero si giochi solo a San Siro, all’Olimpico o all’Allianz Stadium. Non è così. ERA SPALLETTI. Aveva costruito una squadra molto elastica, giocava con la difesa a 3, che passava a 4 contro le tre punte, a 5 contro due punte centrali e due ali, era la squadra più piccola in A, ma giocava con l’autorevolezza di chi sa cosa cerca. Non c’erano timori, né in panchina, né in campo. Tanto per dare un’idea, quando l’Empoli vinse al Franchi il derby con la Fiorentina, gli ultimi due cambi di Spalletti furono due attaccanti per un centrocampista e un attaccante. Martusciello segnò la rete decisiva al 94′. Quella squadra giocava con tre punte, arrivò al 12° posto segnando 50 gol, il doppio del Napoli che nì in B.
ERA SARRI. I movimenti sono diversi, come il modulo, ma il criterio non è cambiato. Vent’anni dopo Spalletti è arrivato Sarri e l’Empoli ha continuato a entusiasmare. A vederlo giocare con una linea difensiva altissima in Serie B, pensavamo che l’anno seguente, in A, avrebbe cambiato e quei quattro si sarebbero abbassati di una ventina di metri. Pensavamo allo spunto di Tevez: se stanno lassù, quando quello scatta, chi lo riprende? Discorsi di chi ancora non aveva compreso bene il calcio di Sarri. Quando l’Empoli è arrivato in A, la linea formata da Hysaj, Tonelli, Rugani e Mario Rui è rimasta lassù, perché lo spazio fra i reparti rimanesse sempre corto, così da aiutare la fase del recupero palla e per sviluppare più rapida mente la manovra. L’Empoli giocava con gli occhi bendati: Valdi ori lanciava come una catapulta, palla su Verdi (o Saponara), inserimenti di Vecino e di Croce a sinistra, dove tagliava Maccarone e saliva Mario Rui. Oggi, quando il Napoli attacca a sinistra con Ghoulam, Insigne e Hamsik per segnare al centro o a destra con Mertens e Callejon (è una costante), rivediamo quell’Empoli. Il Napoli lo fa meglio tecnicamente, perché gli interpreti sono di livello superiore, ma l’Empoli lo faceva meglio tatticamente perché tutti sapevano, in ogni momento, come si sarebbe mosso il compagno. Stasera, al San Paolo, se Sarri e Spalletti ricorderanno sul campo i loro giorni empolesi, ci divertiremo ancora di più.
Corriere dello Sport