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Alessandro Costacurta: “Quando arrivò in elicottero Berlusconi sembrava un pazzo, poi ci regalò Gullit e un sogno”

Alessandro Costacurta: "Quando arrivò in elicottero Berlusconi sembrava un pazzo, poi ci regalò Gullit e un sogno"(reuters) MILANO. DALLE promesse da visionario ai trionfi internazionali. Alessandro Costacurta ha vissuto l’epopea berlusconiana fin dal primo giorno: con un intervallo al Monza nella stagione 1986-87, l’ex difensore ha inanellato ventuno anni di gestione milanista dell’ex Cavaliere fino all’ultima Champions nel 2007. Il suo racconto parte sempre dallo stupore del contatto iniziale.

Costacurta, è vero che, al momento della presentazione, Berlusconi vi lasciò qualche dubbio?
“Ci sembrò proprio pazzo, un po’ fuori di testa: l’elicottero, la Cavalcata delle Valchirie, le divise bellissime, le scarpe tutti uguali. Non erano cose abituali all’epoca. Queste variabili ci stupivano. La sicurezza che in pochi anni saremmo arrivati sul tetto del mondo non era facile da metabolizzare. Sembrava un obiettivo molto complicato”.

Quando avete capito che faceva sul serio?
“Quando ha cominciato a comprare calciatori forti, in particolare Gullit che all’epoca era uno dei campioni più cari del mondo”.

Il momento più bello?
“L’esodo dei 90mila tifosi del Milan a Barcellona per la finale di Coppa Campioni dell’89. Credo sia il ricordo che unisce tutti i componenti di quella squadra”.

E la partita che vi ha lasciato il senso più alto di pienezza calcistica?
“L’1-1 di Madrid con il Real nell’andata della semifinale della Coppa Campioni 1988-89. Eravamo praticamente tutti esordienti a un livello internazionale così alto. Solo Van Basten aveva vinto già una Coppa Coppe con l’Ajax. Comandammo il gioco in una gara splendida. Negli spogliatoi ci guardammo negli occhi realizzando che avevamo messo in pratica tutti gli insegnamenti di Sacchi dei mesi precedenti. Non a caso, da quella serata uscimmo con maggiore convinzione e al ritorno travolgemmo 5-0 il Real”.

Nel corso degli anni si è sviluppata la retorica delle visite di Berlusconi a Milanello: blitz in grado di cambiare l’umore della squadra. Era davvero così? Cosa faceva di speciale?
“Raccontava barzellette e faceva battute. Ma questo non era l’aspetto più rilevante. La sua abilità nei confronti di noi calciatori era un’altra: vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno. Guardava l’aspetto positivo delle cose elencandoci i numeri delle nostre prestazioni. Ad esempio, a noi difensori faceva i complimenti ricordando quante volte avevamo lasciato in fuorigioco gli avversari. E non sottolineava mai i nostri errori”.

Quindi non era attento solo al gioco offensivo.
“No. Pensava a tutti i componenti della squadra. Devo dire che forse col fuorigioco noi esageravamo perché era una tattica che ammazzava un po’ lo spettacolo. E all’epoca le regole favorivano troppo questa tattica. Ma questo è un altro discorso. Berlusconi vedeva in queste cifre una molla da usare per eliminare i nostri timori. Non poteva dire a Maldini, Baresi o Filippo Galli come muoversi in campo. Allora usava numeri e dati individuali per aumentare la nostra fiducia. Era importante in una squadra formata in gran parte da giovani emergenti. Questo atteggiamento ha accompagnato la crescita della squadra di Sacchi”.

Vi dava la sensazione di essere davvero un intenditore di calcio?
“Diciamo che a Milanello c’erano persone che sapevano di calcio un po’ più di Berlusconi. E quindi lui poteva venire a trovarci parlando di cose relative al pallone, ma non così oggettivamente legate a tattica o gesti tecnici. Ad esempio, era fissato con una richiesta del tutto utopistica. Secondo lui, noi avremmo dovuto tenere il controllo della palla sempre negli ultimi minuti. Il tempo variava ogni volta: potevano essere gli ultimi sette, otto o dieci. Ma il concetto era lo stesso ripetuto per 25 anni: non dovevamo far toccare palla agli avversari nel finale. È ovvio che fosse impossibile. Forse l’appello è diventato ancora più intenso con la gestione Capello quando vincevamo sempre 1-0”.

Quando la gestione Berlusconi ha iniziato a declinare?
“Con la cessione di Thiago Silva e Ibrahimovic al Psg nel 2012. Fino a quel momento era riuscito a mascherare le difficoltà. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso e chiarì che c’erano club più forti”.
 

Interviste sport

Protagonisti:
Alessandro Costacurta

Fonte: Repubblica

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