Kvaratskhelia: “Spalletti è un maestro. Il cognome è difficile lo so, chiamatemi Kvara”
Intervistato da Il Mattino, Khvicha Kvaratskhelia, colpo del mercato estivo del Napoli, parla anche del tecnico Luciano Spalletti: “Si sta dimostrando un grandissimo maestro. Mi insegna ogni giorno qualcosa di nuovo ed è bello vedere che lo fa con tutti. In questo periodo di ritiro abbiamo poco tempo a disposizione per preparare la stagione e lui sta facendo di tutto per trasmetterci le sue idee alla perfezione”.
Cosa rappresenta per lei questo momento?
«La Champions League rappresenta il mio primo sogno legato al calcio, praticamente da quando ho iniziato a giocare sogno una partita in questa competizione così prestigiosa. Peraltro a Napoli l’atmosfera è ancora più coinvolgente e infatti non vedo l’ora di scendere in campo in quelle partite».
A proposito del Napoli: lei era sull’agenda dei più grandi club europei, come mai ha scelto la maglia azzurra?
«Non ho mai avuto dubbi. Appena ho saputo dell’interesse del Napoli non ci ho pensato nemmeno un secondo e ho detto subito di sì».
E dove pensa di poter arrivare con il Napoli?
«Il più in alto possibile, anche perché già da tempo seguivo il Napoli e sapevo che era una grande squadra con tanti calciatori forti».
Ha già superato lo step più difficile legato a come farsi chiamare dai compagni?
«Lo so, il mio nome è molto difficile da imparare, ma ho detto a tutti di chiamarmi Kvara, così non ci sono problemi».
Sarà Kvara anche sulla maglia del Napoli?
«Lì preferisco che ci sia il nome completo, quindi Kvaratskhelia con il numero 77».
Un omaggio indiretto al suo idolo Cristiano Ronaldo…
«Cristiano è un grande calciatore e un professionista incredibile, per questo mi ispiro sempre a lui».
Eppure molti la definiscono il “Messi di Georgia”.
«Magari, aggiungerei. Perché Messi è un giocatore che sembra essere arrivato da un altro pianeta. Io mi ispiro a Ronaldo perché è arrivato allo stesso livello di Messi grazie al duro lavoro e al sacrificio e anche io vorrei fare la sua stessa carriera».
Fabio Capello, invece, l’ha paragonata a Salah.
«Spero davvero di arrivare a quel livello e per farlo so che devo impegnarmi ancora tanto, a cominciare dalla prossima stagione».
Per farlo, in che posizione si sente maggiormente a suo agio?
«La mia posizione preferita è quella di esterno sinistro, ma sono a disposizione del Napoli: mi adatto a giocare un po’ ovunque. Mi piace tirare i calci piazzati ma ho visto che nel Napoli ci sono anche altri ottimi tiratori, spetterà all’allenatore decidere. Se lo chiedesse a me sarei molto felice».
Lui come se la cava con il russo?
«Qualche parola me la dice, ma poi preferiamo sempre comunicare in inglese per essere più diretto».
E lei, invece, come se la cava con l’italiano?
«In realtà qui mi hanno detto che devo imparare prima il napoletano e poi l’italiano. Ho imparato solo qualche parola, ma in squadra ho ottimi insegnanti che mi possono dare una bella mano. In compenso ho già imparato a conoscere la cucina: pizza, mozzarella e caffè di Tommaso, il nostro magazziniere, sono insostituibili».
Torniamo sul campo. Suo padre Badri è stato una leggenda del calcio georgiano: quanto è stato importante per la sua crescita?
«Gli devo tanto, a partire dalla grande libertà che mi ha lasciato nelle scelte».
Ovvero?
«A me è sempre piaciuto il calcio, ma nonostante lui fosse un calciatore mi ha lasciato libero di scegliere la mia strada. ‘Figlio mio, fai lo sport che ti diverte di più’, mi diceva».
E lei?
«Beh, a me piaceva il calcio e così è stato tutto più facile. Ho iniziato a giocare e la gran parte delle cose che oggi faccio in campo le ho imparate da mio padre. Il pallone è stato il primo oggetto che ho visto in casa».
A 21 anni come si vive così lontano da casa?
«Ahimè, ho imparato molto presto a vivere lontano dalla mia famiglia perché a 17 anni ero già in Russia alla Lokomotiv. So che questo fa parte del mio lavoro e sarà così fino a quando sarò un calciatore».
A proposito di Russia, a marzo ha lasciato il Rubin Kazan per fare ritorno in Georgia alla Dinamo Batumi a causa della guerra.
«A Kazan sono stato due anni e soprattutto nell’ultimo periodo stavo alla grande. Poi però è scoppiata la guerra e ho capito che dovevo fare ritorno a casa. Non avevo paura della guerra, ma sentivo il bisogno di tornare nella mia terra, in uno stato più sicuro. In Georgia il calcio è vissuto in maniera molto passionale: nell’ultima gara che ho giocato con la nazionale i tifosi si sono spostati da una parte all’altra dello stadio all’intervallo per potermi vedere da vicino: è stato incredibile».
E ora come si sente da nuovo arrivato nel Napoli?
«È una sensazione bellissima. I compagni mi hanno accolto alla grande. Tutti mi vogliono bene. In poche settimane mi hanno fatto sentire a casa, mi hanno accolto come se fossi una famiglia. È una cosa eccezionale».
E a Napoli ha già deciso dove vivere?
«Non ho ancora, ma soprattutto all’inizio vorrei prendere casa vicino al centro sportivo così da essere concentrato al massimo sul lavoro».