EDITORIALE – Ricordi ed emozioni di un calcio che fu
Era tutto bello perché era semplice, spesso anche rituale (la scaramanzia è parte del nostro essere partenopei), ma per chi viveva di azzurro era un qualcosa di essenziale, come lo è il ragù della domenica. Ed infatti, come si dice a Napoli, per “nun fa piglià collera a nisciuno” ci si alternava, una domenica il ragù di “mammà” e l’altra il panino allo stadio. A dirla così la cosa non rende, ma per il sottoscritto il rito della domenica al San Paolo (si chiamava così 💙) iniziava la mattina presto: sveglia fisiologica alle 8, colazione, doccia, e poi preparazione delle “armi da guerra”, ovvero sciarpa azzurra, bandiera, cuffia-radio larsen (quella con antenna e selettore fm-am incorporato) ed ovviamente l’immancabile panino. Abitavo a Marano, e per evitare traffico e calca con mio padre partivamo intorno alle 11:45 in inverno (fischio d’inizio alle 14:30) o alle 12:15 con l’arrivo dell’ora legale, visto che l’inizio delle gare veniva spostato mezz’ora in avanti. Parcheggiavamo all’Edenlandia, inutile dirvi quanto fascino racchiudesse per me all’epoca quel posto, e poi insieme a tanti altri si procedeva a passo spedito verso lo stadio. Dieci minuti di cammino, in cui pian piano si amplificavano suoni ed odori (le noccioline zuccherate) dello stadio, con l’immancabile acquisto per la modica somma di 2000-3000 lire del mitico “spasso” (noccioline ed affini). Si arrivava ai cancelli, controllo biglietti e subito dentro, non prima che la sicurezza privasse le nostre bottiglie d’acqua dei tappi ( ma noi avevamo in tasca quelli di riserva 😉). Il settore non era sempre lo stesso, ho avuto la fortuna di frequentarli tutti, tribuna stampa e numerata compresa (una volta, in una partita di coppa, mi ritrovai Ferlaino al mio fianco). Giunti a destinazione circa 90 minuti prima del fischio d’inizio si iniziava a consumare il panino, lo spasso, il “cuore di panna” nei mesi più miti o un piccolo assaggio di caffè Borghetti (per me solo un goccino perché ero piccolo e papà era categorico). Ma l’attesa era anch’essa un misto tra emozioni e rituali da rispettare, come quello degli spot pubblicitari, e devo dire che io, ad anni di distanza ho due certezze, che all’epoca avevo un ottimo udito (Sei sordo? Sei sordo? Sei sordo?) e che al Castello dei Barbari si mangiava “barbaramente bene”. Quei momenti scivolavano veloci, e capivi che le squadre stavano per entrare in campo da due cose, dai ragazzi delle giovanili che si schieravano sul rettangolo verde creando un corridoio in cui sarebbero passati i calciatori, e dalla ressa di fotografi che si accalcavano all’uscita del sottopassaggio che permetteva alle squadre di entrare sul terreno di gioco. E finalmente eccoli, in testa c’era sempre “Iss” con fascia di capitano al braccio e maglia azzurro cielo indosso, e quei colori erano una delle poche certezze della vita, perché era impensabile che il Napoli potesse indossare, in una sfida casalinga, un completo giallo canarino o blu notte. Dunque, dicevamo squadre in campo, radiolina sintonizzata sulla diretta della gara con la voce del mitico Fontana a raccontare ciò che vedevo dal vivo, maglie numerate dall’uno all’undici, con la certezza che il “9” non avrebbe mai potuto avere i guantoni e che il numero “2” difficilmente avrebbe fatto tripletta. Il tifo poi era un qualcosa che ti entrava nel cuore e nella mente, si andava dai cori che palesavano verità assolute (Maradona è meglio e’ Pelè) ad esultanza ed abbracci perché la Juve oppure “O’ Milann” era in svantaggio, cosa che ora difficilmente potrebbe avvenire visto che la contemporaneità della disputa delle gare è quasi evento miracoloso. L’apice della gioia, inutile dirlo, si raggiungeva quando il Napoli segnava, e vi posso assicurare che ho abbracciato più gente in quei momenti che in tutta la mia vita. Poi ovviamente non poteva mancare alla fine di ciò la domanda per antonomasia:”Chi ha signat?”, e li capivi che tutto era compiuto. L’ultimo atto era il ritorno a casa, con l’abbandono dello stadio 5 minuti prima della fine (papà odiava il traffico), la radio accesa in auto per ascoltare il post partita ed una certa fretta di rientrare, perché alle 18:00 c’era Novantesimo minuto condotto da Paolo Valenti, ed i gol del Napoli narrati dal mitico Necco proprio non si potevano perdere.
Quello si che era il vero calcio…
Salvatore Migliara