Scommesse, la dipendente di una sala di Afragola: “Noi innominati e untori, la chiusura offende la nostra dignità di lavoratori”
ROMA – Per lo Stato «siamo gli innominati», discriminati in virtù di un pregiudizio nei confronti del gioco «che finisce per condizionare certe decisioni del Governo». Anzi, «siamo untori, come se nelle nostre sale ci fossero chissà quali assembramenti». Adele è allo stremo, come i dipendenti di oltre 2.000 sale scommesse in tutta la Campania, la regione più colpita dalle chiusure anti-Covid. La serrata prolungata «ci ha messo KO non solo da un punto di vista economico: ci ha colpito nella dignità». 44 anni, responsabile di una sala scommesse ad Afragola, in provincia di Napoli, «lavoro nel settore da quando avevo 19 anni e sono in questa agenzia dal 2000, praticamente da quando è stata aperta», racconta ad Agipronews.
Il Covid ha messo in pausa la sua vita da oltre 200 giorni: la cassa integrazione (circa 600 euro su uno stipendio da 1.400) è sempre in ritardo – «sto ancora aspettando una cig relativa al primo lockdown», spiega – e comunque, non è una cifra sufficiente per sopravvivere. «Sono separata, ho un mutuo da pagare sulle spalle. Ho chiuso casa mia e mi sono trasferita da mio padre. E’ pensionato, è lui che mi aiuta. Almeno in questo modo, tengo sotto controllo le spese», racconta. Anche tra i colleghi, «c’è qualcuno che non ha avuto ancora niente: a volte marito e moglie lavorano entrambi in questo settore, non so come facciano a sopravvivere… per fortuna qualcuno ha la famiglia alle spalle, ma è mortificante», sottolinea. «Invece di tenerci chiusi, perchè non aumentano i controlli e chiudono solo le attività che non rispettano le regole? Invece di stanziare bonus che non servono e di pagare la cassa integrazione, lo Stato dovrebbe tenerci aperti e investire nei controlli. Noi non possiamo sbagliare, un errore ci potrebbe costare la licenza». Alle regole e ai protocolli, comunque, le sale scommesse si erano già adeguate. La sala scommesse in cui lavora Adele – insieme ad altre 5 persone, collaboratori compresi – «è molto grande, circa 300 metri quadri: creare assembramenti è praticamente impossibile. Già dopo il primo lockdown ci eravamo messi a norma, con i plexiglass che dividono tutti i terminali: non c’è contatto, rispettiamo il distanziamento, all’ingresso c’è un addetto che misura la temperatura dei clienti, ogni apparecchio viene sanificato dopo l’utilizzo».
Gli sforzi fatti per mettersi in sicurezza, però, non sono serviti a “salvare” le sale. «Stiamo subendo una discriminazione rispetto ad altre attività economiche: comprendiamo che la situazione è difficile, ma sicuramente paghiamo lo scotto di un approccio sbagliato a questo settore», sottolinea Adele. «Sembra che siamo untori, come se nelle sale scommesse si creassero chissà quali assembramenti. Ora la Campania è zona gialla ma, anche prima che lo diventasse, si vedevano ben altri assembramenti nelle attività che sono sempre rimaste aperte. Invece nelle nostre sale c’è sempre stato totale rispetto per la salute dei clienti e dei dipendenti», sottolinea. L’unica speranza è la riapertura. «Saremo chiusi sicuramente fino a marzo, poi chissà». E anche dopo, non è detto che le cose ritornino come prima: «Partiremo con un handicap del 50% in meno di clienti, tra chi si è affezionato ad altri giochi e chi sta giocando comunque attraverso altri canali, anche non legali». MSC/Agipro