Da marzo 2018 è il numero uno della Serie A. Gaetano Miccichè parla in esclusiva al direttore di Sky Sport, Federico Ferri. Ne nasce uno speciale in cui il “banchiere uomo di sport”, come lo ha definito Malagò, si racconta a 360°: calcio e sport, da dirigente e da appassionato. Toccando tutti gli argomenti d’attualità, dalla situazione del calcio italiano alla pirateria. Dal rapporto con i tifosi, alle leggi per contrastare i condizionamenti della malavita organizzata, fino al pugno duro “per allontanare gli avventurieri del calcio”. Alla nuova governace della Lega, agli esempi inglesi, guardando anche oltre il pallone, puntando- per rilanciare il nostro calcio- alla valorizzazione del prodotto “oltre i 90 minuti”.
Nel mondo economico, dell’industria e delle istituzioni politiche e finanziarie lei non ha bisogno di presentazioni. Come si è presentato ad un mondo relativamente nuovo, come quello del calcio?
Per me è stato un arrivo abbastanza imprevisto. Tutto è partito da una richiesta fatta da presidente del Coni del tutto inaspettata e che poi si è realizzata nell’arco di due mesi. Dal voto unanime che ho avuto in assemblea e che per me era importante: non tanto di autorità o autorevolezza, ma volevo essere sicuro che ci fosse condivisione su un personaggio che non veniva dal mondo dello sport. Lavoro da oltre 40 anni nel mondo dell’industria, della finanza e delle banche e credo che la qualità del proprio lavoro possa esprimersi in qualunque settore, al di là del fatto di essere un industriale, un banchiere, un finanziere o un giocatore di calcio.
Miccichè e il calcio: passione o lavoro? Ci racconta questa storia?
E’ una storia abbastanza tradizionale: quella di un ragazzo del Sud che, da bambino, come tutti, si appassiona al pallone e ad una squadra. Poi ognuno ha un percorso, quasi per tutti iper dilettantistico come è stato il mio, fatto di squadre, amici, che però mi ha visto diventare sempre più appassionato. Devo dire che sono un appassionato di tutti gli sport: penso di aver conquistato Malagò parlando di tutto, dal tennis, all’automobilismo, dallo sci fino al golf, anche se non l’ho mai praticato. Considero lo sport un grande compagno di vita e suggerisco a chi non è appassionato di diventarlo, perché ti accompagna dalla gioventù fino all’età adulta.
Quale era la squadra per cui faceva il tifo?
Come tutti ho tifato per la squadra della mia città. A quei tempi il Palermo non faceva grandi risultati, anche se il presidente era un grande amico di famiglia e un grande signore: Renzo Barbera, definito l’ultimo Gattopardo. Poi nell’ultimo decennio c’è stato un percorso importante, da Dybala a Cavani, a Barzagli. Tanti giocatori sono passati da Palermo che ha avuto diverse stagioni interessanti.
Che ruolo occupa nel suo percorso professionale questa nomina?
E’ un ruolo importante. Io cerco di dare sempre il meglio in tutto quello che faccio. Ma soprattutto mi trovo particolarmente interessato ed impegnato dove vedo che c’è un potenziale. In qualunque realtà societaria quello che interessa è: il mio prodotto, il mio servizio ha dei consumatori? Riesco a venderlo? Occuparsi di sport e, nello specifico, di calcio e di Serie A, vuole dire avere decine e decine di milioni di appassionati. Ho trovato da subito un grande di percorso di potenzialità da fare con le squadre e con tutti gli stakeholders.
Quali sono le priorità del Presidente della Serie A?
La prima è quella di convincere tutti che l’interesse generale è molto più importante degli interessi particolari… E’ quello che può avvenire in un buon condominio dove tutti gestiscono al meglio l’esistenza di un palazzo.
La FIGC ha un nuovo presidente eletto all’unanimità, anche grazie al voto della Serie A. Cosa vi ha spinto a dare la fiducia a Gravina e cosa si aspetta?
Io ho rappresentato i miei 20 azionisti con un ragionamento di grande pragmatismo. Veniamo da un periodo di commissariamento e quando è così vuol dire che c’è qualcosa che non va bene, significa che ci sono stati dei difetti insormontabili che non si sono riusciti a modificare. L’idea di dividersi ancora sarebbe stato il peggior segnale che potessimo dare. C’era una candidatura di piena autorevolezza e di leadership rappresentata da Gabriele Gravina e che già aveva una maggioranza qualificata. Io ho chiesto all’assemblea di appoggiare Gravina e di non ricercare alternative che probabilmente avrebbero creato ulteriori spaccature in un momento difficile. Ma solo dopo aver verificato che le idee di Gravina fossero quelle della Serie A: nessun ius primae noctis, nessun diritto di autorevolezza della Serie A, però noi rappresentiamo il calcio per la storia, dei club, dei presidenti, dei giocatori e degli allenatori. Il mondo della Serie A merita un rispetto che, nella considerazione dell’interesse generale, senza prepotenze, spero che con Gravina riusciremo ad avere.
Il calcio italiano sta attraversando un periodo difficile, culminato con la non qualificazione all’ultimo Mondiale. Non crede che questa situazione sia considerata dai club di Serie A un po’ distante, come se riguardasse solo la Nazionale?
Devo dire che nella Lega Serie A ho trovato un certo atteggiamento di sufficienza verso il resto del mondo, un po’ da primi della classe. Un po’ era presente, è vero: non nei confronti della Nazionale, che anzi ha un ruolo strettamente identificato con quello della Serie A. I giocatori azzurri al 98% fanno parte della Serie A. Se la nostra Nazionale va ai Mondiali è una valorizzazione implicita non solo per la nostra nazione, ma per qualunque giocatore. La parola responsabilità fa parte del mio Dna, questo non solo riguardo al calcio, ma al Paese. Tutti dobbiamo sentirci responsabili di quello che abbiamo intorno e di quello che avviene, non solo puntare l’indice, ritenendo che è solo colpa altrui.
Lei ha la responsabilità di cambiare il volto di questa Lega Calcio. E’ una missione chiara, che ha avuto fin dall’inizio. Non ha ancora un Amministratore Delegato: ci sta pensando, lo ritiene un ruolo necessario?
Le aziende, per funzionare, devono avere i livelli di governance tutti adeguati. L’assemblea è sana ed è composta da 20 presidenti pieni di suggerimenti, proposte e idee positive. Io sono in carica da fine maggio, di fatto da quattro mesi incluso agosto. Ci siamo dovuti occupare dei diritti televisivi, della partenza del campionato, dei calendari e di tutta una serie di complessità contingenti, ma adesso dobbiamo assolutamente attivarci e trovare la figura dell’AD. Per dare un’organizzazione dell’azienda più moderna, efficiente e più vocata allo sviluppo e all’internazionalizzazione. Se l’assemblea mi segue, spero nel giro di 15-20 giorni di poter individuare il nome giusto. Deve essere una persona che abbia l’ampio consenso. Non ha senso che io oggi prenda delle decisioni su tecnologie e altro, quando poi tra 15 giorni arriva l’Amministratore Delegato e si trova tutto già fatto. Come avviene in tutte le aziende normali e sane, tutto questo si fa insieme. Entro novembre dovrebbe essere tutto a posto.
Una delle sue qualità è quella di essere pragmatico. Nel discorso di insediamento, tra gli obiettivi, ha messo quello di aumentare profitti e ricavi. E allora, quali sono le leve su cui possono lavorare i club? C’è un modo per rendere le società più solide e profittevoli?
Sono un grandissimo appassionato dell’Italia, conosco perfettamente le problematiche che ha il nostro Paese, ma abbiamo delle straordinarietà uniche e delle potenzialità particolari. Le principali sono le nostre città: quello che penso fin dal giorno prima di diventare Presidente della Lega è che la partita di calcio debba diventare, non solo un momento di 90 minuti dove al termine si va via e si parla solo del risultato della propria squadra, ma che debba essere un’occasione per visitare l’Italia e arricchirsi. Le grandi città, ma anche le meraviglie delle nostre province. Arte, cultura, religione, cibo: dobbiamo cercare di spingere tutte le nostre meraviglie a livello internazionale e portare l’appassionato sportivo a vedere non solo la partita. Questo lo possiamo offrire solo noi in Italia. Se guardo ad altri paesi che vengono presi come esempio nel calcio, come la Premier League, al di là di Londra, quando giochi a Liverpool o a Manchester- dopo lo stadio, ci sono poche cose da andare a fare.
Si parla di nuovi criteri di iscrizioni ai campionati: lo auspica la Lega e ne ha parlato Gravina. Questi ci potranno mettere al riparo da nuovi casi-Parma? Si potranno dunque avere più certezze a proposito di eventuali nuove proprietà che entreranno nel mondo del calcio?
Parma è stato un caso emblematico di una situazione deficitaria che c’era. Si è intervenuti sia a livello di Federazione che di Lega. Il calcio deve diventare un settore per persone per bene. L’avventuriero che con pochi soldi si compra una squadra per poter poi vendere il proprio prodotto e avvantaggiarsi di quelli che sono i benefici territoriali ed ambientali, non deve nemmeno avvicinarsi. Per fare questo- dal momento che il mondo è pieno di gente non propriamente corretta- dobbiamo creare dei sistemi di verifica e di analisi iniziali molto rigorosi per far sì che chi diventa il presidente di una squadra di calcio debba avere dei requisiti, non solo attitudinali ed etici, ma patrimoniali, economici. Questo già è stato fatto, ma sicuramente con la mia presidenza si irrigidirà ancora di più.
Fonte: SkySport