Per lui l’Avvocato Gianni Agnelli stravedeva. Tanto da dargli quel soprannome rimasto nella memoria collettiva del calcio e dello sport. “Pinturicchio”, nome d’arte che più d’arte non si può: perché Del Piero come un pittore disegnava in campo qualcosa di bellissimo. Tocchi, passaggi, giocate e gol. Leggerezza e classe. Vederlo per rimanere estasiati, e qualcuno con la sindrome di Stendhal forse sarà anche svenuto a guardarlo giocare. Storia d’amore lunghissima e bellissima la sua con la Juve, con picchi di colore sulla sua tavolozza quando veniva sollevato al cielo l’ennesimo trofeo, o come quando regalava reti da ovazione di tutto uno stadio. Quella volta era il Delle Alpi, prima dell’Olimpico e anche dello Stadium dove oggi ci gioca Cristiano Ronaldo. Sedici anni fa tutto era lontano ma la costante era la stessa: Juve vincente. Sempre. Giocatori diversi ma filosofia uguale, nel passaggio da Gianni ad Andrea dove il tricolore ha quasi sempre avuto un padrone unico. Era allora anche quello un 15 di settembre: oggi qualunque, ieri giorno della sfida all’Atalanta e data dell’ennesima opera d’arte a firma “Pinturicchio”.
Succede tutto in pochi secondi: sventagliata di Nedved che suona un po’ come la tela messa sul piedistallo, stop di petto orientato a guardare la porta: il punto di luce perfetto per incominciare a dipingere. Le pennellate come la palla che tocca terra: una, due, tre: la quarta non arriva, perché ADP calcia di collo pieno. Taibi, il portiere con la tuta passato pochi mesi prima addirittura dal Manchester United, battuto. Signore e signori: Alessandro Del Piero.
Fonte: SkySport