Il Dakar si è trasferito in Sudamerica da ormai dieci anni, ma l’amore per l’Africa ha mosso fin dal 2009 gli organizzatori dell’Africa Eco Race a riempire il vuoto lasciato dal rally più famoso al mondo, riportando auto, moto e camion a gareggiare tra le dune e le piste di Marocco, Mauritania e Senegal. La denominazione Eco si è aggiunta da quando alla gara si associa un progetto per limitare l’impatto ambientale e aiutare la popolazione locale in vari modi, tra i quali la limitazione all’uso di gruppi elettrogeni, l’utilizzo di pannelli fotovoltaici, l’installazione di una centrale solare a Nouakchott.
Ieri al Casinò di Venezia è stata presentata l’undicesima edizione, che prenderà il via con l’imbarco degli equipaggi a Sète (Principato di Monaco) il prossimo 30 dicembre. L’arrivo avrà luogo in Senegal, sulla famosa spiaggia del Lago Rosa due settimane dopo. Complice il programma rivisto del Dakar, che prevede un’edizione da disputarsi al 100% in Perù, molti equipaggi – tra cui parecchi italiani -, stanno ragionando su un possibile ritorno alle origini. La gara organizzata da Renè Metge, Anthony Schlesser e con il nostro Franco Picco, cresce di anno in anno: se il Dakar può vantare un nome che da solo identifica il top del movimento rallistico mondiale, l’Africa Eco Race ha nei percorsi e nella storia un fascino tutto suo. Lo sa bene Paolo Ceci, vincitore 2018 nella categoria moto. Il modenese, che in anni recenti al Dakar ha corso come ufficiale Honda al servizio dei vari Joan Barreda e Paulo Goncalves, nel raid africano ha trovato la dimensione giusta per mettere a frutto il proprio talento: “Non ho mai avuto l’occasione di disputare un’edizione africana della Dakar, ma stando a quello che mi dicono i vecchi che hanno avuto la fortuna di farla, all’80% l’Africa Eco Race è ancora quella gara. Sono cambiate le moto e le tecnologie, inoltre i percorsi sono più impegnativi, più duri. Ma non ci sono più le tappe da 1200km. Ad ogni modo la marathon rimane pur sempre un tappone da 800 chilometri, o 500 miglia come amano dire loro: non sono proprio pochi”.
L’edizione 2019 non presenterà grosse novità di percorso: “La prima parte in Marocco è abbastanza in linea, il clou rimane sempre la Mauritania – prosegue Ceci -. Tante dune, tanta sabbia, una sabbia così fine non la puoi trovare nel resto del mondo. La tappa di Amodjar con la speciale Chinguetti da 340 chilometri rimane forse la più tosta. All’Africa Race fai navigazione vera, non vai nei corridoi. Al Dakar per farti navigare devono inventarsi la caccia al tesoro con il way point check, mentre in Africa fai ancora orientamento: segui il cap e sguardo lontano a cercare un punto di riferimento. L’ultima volta che ho fatto la Dakar nel 2017 in Argentina era davvero gas puro, in gran parte sui percorsi del mondiale WRC. In Africa invece non solo sulle dune, ma anche le piste sono dei veri labirinti”.
Se l’Argentina ti scalda con il calore del pubblico, l’Africa regala grandi solitudini: “È una sensazione impagabile, faccio un esempio: nell’anno che ho corso con l’Africa Twin, all’ottava tappa sono rimasto in panne ad aspettare il camion balai fino a sera, in mezzo al deserto. È stata lunga ma posso solo dire che è stata una bella esperienza. Ho fatto il fuoco, mi sono goduto il deserto”.
I grandi spazi della Mauritania hanno anche fatto venire in mente a Paolo un’idea particolare: “Per la prossima edizione vorrei portare Sara (la sua compagna, ndr) a fare la gara con me, a bordo di un ssv (una sorta di piccolo buggy, ndr). Lei veniva dal motociclismo stradale, mi ha sempre seguito. Non è stato difficile trasmetterle la passione, e devo dire che in questi anni oltre che a seguirmi in realtà mi ha organizzato un po’ tutto, a casa e anche in gara. Il che vuol dire che lei è l’artefice almeno del 50% dei miei successi. Così ho pensato che sarebbe bello farle provare l’emozione di partecipare a una gara. Dobbiamo allenarci però, io sulla guida e lei sulla navigazione”. Paolo illustra il progetto con la stessa emozione con cui ricorda l’arrivo da vincitore dell’ultima edizione: “Quando sono arrivato alla spiaggia del Lago Rosa, a Dakar, è stato davvero speciale. Avevo un buon vantaggio, l’ultima tappa di norma è quasi una passerella. Me la sono potuta godere: da grande tifoso di rally in gioventù il pensiero è andato subito ai grandi piloti del passato, ai video di quelle moto che correvano in riva al mare. In particolare quando stavo per salire sul podio ho pensato a Fabrizio Meoni. Il mio primo viaggio di preparazione per un rally nel deserto, nel 2004, l’ho fatto con lui ed è stato un momento davvero particolare”.
La magia dei rally africani non sta nel mezzo con cui li affronti: moto, quad, ssv, auto, camion; alla Africa Eco Race c’è di tutto e ci sono tanti privati. Ma da Gerard de Rooy con l’Iveco ufficiale all’ultimo della categoria malle moto, alla sera tutti sono riuniti a mangiare sotto lo stesso tendone, tutti hanno lo stesso sogno in tasca: arrivare al Lago Rosa, sulla spiaggia di Dakar.
Fonte: SkySport