André Carrillo, la rivelazione del Perù
In passato, i Mondiali di calcio assolvevano principalmente due funzioni, entrambe particolarmente gradite agli addetti ai lavori: da una parte, le Nazionali mettevano in mostra le maggiori novità tattiche, effettuando una sintesi di ciò che i club, nei rispettivi campionati, elaboravano in campo nel quadriennio precedente; dall’altra facevano da vetrina per calciatori altrimenti sconosciuti, che si proponevano all’attenzione del grande pubblico.
La prima funzione è venuta meno nel momento in cui i tecnici hanno potuto muoversi più facilmente da un paese all’altro, portando con sé le proprie idee, mescolandole con quelle degli altri per crearne di nuove. I club hanno sottratto alle Nazionali il ruolo di laboratori, anche perché oggi, grazie alle dirette televisive, è più semplice seguire l’evoluzione della tattica, in un arco temporale molto inferiore alla cadenza quadriennale imposta dalla Coppa del Mondo.
La seconda funzione, nonostante gli investimenti in scouting e in tecnologia, è ancora piuttosto viva: l’atmosfera di un Mondiale riesce sempre a tirar fuori da ciascun protagonista quel qualcosa in più.
Nelle prime partite di questo Mondiale uno dei giocatori che più hanno rubato l’occhio è stato André Carrillo, l’ala peruviana che ha provato a caricare sulle sue spalle la “Blanquirroja” nell’esordio sfortunato contro la Danimarca, anche per via della scelta di Gareca di tenere inizialmente in panchina la stella Guerrero. Carrillo non è riuscito a evitare una sconfitta al Perù ma la sua gran partita ha riportato l’attenzione su un giocatore che, se guardiamo alla sua carriera, possiamo pensare sia stato messo da parte troppo presto.
Fonte: Sky