Liste mondiali, beata abbondanza
ROMA – Noi dobbiamo ricostruire, nelle terre dell’abbondanza si ragiona per esclusioni. Noi siamo obbligati a sognare augurandoci che nulla ci svegli di soprassalto e che nessuno venga a dirci che per il futuro azzurro non vanno bene neppure Barella e Mandragora, gli altri puntano a forme di concretezza quasi esasperate e per questo sono costretti e rinunciare a qualche fenomeno. Semplicemente perché ne hanno troppi, perché fra esperti e debuttanti, oppure in quel passaggio stretto in cui i calciatori bravi non sono ancora abbastanza esperti ma non sono più dei debuttanti, a Germania, Brasile, Francia, Spagna e Argentina, come si dice, i giocatori “gli sbuffano”. Sono troppi. L’ultimo sacrificio parla tedesco e sembra una scelta paradossale: Leroy Sane non giocherà i Mondiali pur avendo vissuto una stagione straordinaria nello straordinario City di Guardiola. Diventa uno di quelli come Götze, Can e Schürrle che i Mondiali se li vedranno a casa. Il ct Löw ha fatto le capriole per spiegare la decisione su Sane, in verità piuttosto sorprendente: “Suo sarà il futuro”. Ma non l’immediato presente. Certo in Germania non sanno come affrontarli, questi mondiali. Sono fortissimi i tedeschi, rispetto al 2014 è come se fossero entrati naturalmente in una nuova epoca, i ricambi sono stati fisiologici. Eppure qualcosa stride. I Mondiali certe squadre li giocano sempre per vincerli.
La Germania è una di queste. Almeno ufficialmente. Anche perché sarebbe comico presentarsi senza aspettative con gente come Goretzka, Gundogan, Draxler, Rudy, Werner e Kimmich a rinforzare la struttura composta da Kroos, Müller e da Reus che di quella genìa fa parte anche se dovette saltare i Mondiali del 2014, il che lo rende ancora più affamato. Il dubbio tedesco è: quante possibilità abbiamo di vincere due mondiali consecutivi. Nell’era moderna non è mai successo. Le uniche due nazionali a riuscirci sono state l’Italia tra le due guerre e il Brasile di Pelè anche senza Pelè. Poi solo alternanze. Forse per questo Löw ha preferito sacrificare un ragazzo. Ha più bisogno di certezze che di esperimenti o di eccitata novità. Sa che se ha una chance forse questa chance gli arriva dai “senatori” e dal talento, paradossalmente ancora inespresso, di un fenomeno come Marco Reus. Enormi tagli caratterizzano anche la Francia, che ha fuori dai convocati una squadra alternativa, con Payet, Lacazette, Rabiot, Martial, Ben Yedder, Kurzawa, Laporte, per non dire di un ex-grande (poi leggermente appannato) come Cabaye e degli scontati assenti come Benzema e Ribéry. Ma è la logica spietata dei numeri.
Le grandi nazioni hanno problemi di luce, troppa, quelle in crisi lottano nell’oscurità provocata da errori, presunzione, pigrizia, sport che riproduce anche involontariamente le crepe della società (non facciamo nomi). La Spagna ha dominato. Forse sente più il ricambio generazionale di quanto non facciano Germania e Francia: ma rimane che Lopetegui si è dovuto anche lui inchinare all’aritmetica tagliando Morata, Suso, Callejon, Marco Alonso, Fabregas, Gabi e Pedro. Terre dell’abbondanza sono anche Brasile e Argentina, che fanno parte di un’altra geografia del calcio. Sampaoli ha passato notti infernali a rigirarsi sudato tra le lenzuola prima di decidere, ma alla fine ha lasciato a casa Icardi e con lui Martinez, Pezzella, Perotti, Lamela. E poi ha ricominciato forse a non dormire. Ma intanto aveva deciso. E il ct brasiliano Tite, stravolto dalla potenziale bellezza ed efficacia dei suoi attaccanti, ora che è tornato (e in che modo) Neymar, non ha forse messo nel frigorifero giocatori di livello assoluto come Lleiva, Alex Sandro, Rafinha, Felipe Anderson, Fabinho (appena acquistato dal Liverpool). Lucas Lima, Lucas Moura, Talisca, Jonas, Bernard, Oscar? Succede anche questo, dove i giocatori sono belli, bravissimi. Ma troppi.
Fonte: Repubblica.it