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Insigne: “Il titolo voglio conquistarlo nella mia città, con questa maglia. Ora più di prima”

È lì la testa, in quell’orizzonte indecifrabile che racchiude il sogno, nella fantasia d’una città che però si perde nel tricolore: e c’è un’aria, l’atmosfera, che s’avverte ovunque e che induce a porsi sempre la stessa, ossessionante domanda….Volere non sempre è potere: Juventus 85, Napoli 84, un punto è tanto ed è pure nulla, è la frontiera tra l’estasi e il tormento, è un vago senso d’inquietudine che avvolge chiunque, dall’Allianz Stadium sino a Castel Volturno, a lasciarsi corrodere sempre dallo stesso interrogativo consegnato a Insigne sin da domenica e anche adesso, per strada, dinnanzi al Centro Sportivo. «Ma noi ora allo scudetto ci crediamo più di prima». Più di quando c’erano quattro punti, chiaramente più di quando ce n’erano nove, ed è successo appena mercoledì scorso, mentre la Juventus vinceva a Crotone e il Napoli perdeva in casa con l’Udinese: più di quel frammento di campionato nel quale gli scugnizzi – con a capo Insigne – hanno preso il destino per mano e l’hanno ribaltato, restituendo quei sorrisi dispensati anche domenica, alla compimento dell’impresa: «Non ci siamo mai nascosti, non potremmo farlo certo ora, né vogliamo. Crediamo nello scudetto più che mai».

DOPPIA CIFRA. Otto reti in campionato (e quattordici complessivi) sono tanti e anche pochi, adesso che si viaggia verso la sentenza; e poi ci sono anche gli assist (dodici in totale, nove in serie A) che lusingano, che spingono ad inseguire la doppia cifra in questo torneo che può valere un processo di beati­ cazione. E vale ciò ch’è stato detto, sin da bambino: «Io voglio vincere lo scudetto qua, nella mia città, perché questa è una gioia da condividere con la mia gente».

TRISTE ESTATE. Saranno mesi duri, da maggio in poi, perché non esisterà un domani calcistico, non ci sarà un ritiro immediato e un Mondiale da preparare, ma giornate lunghe e vuote in cui il rischio d’essere travolti dalla malinconia e dalla delusione andrà in qualche modo fronteggiato: ci vuole uno scudetto, per tentare di passar sopra ad uno stato d’animo avvilente, ci vorrebbe qualcosa di forte, di simbolico, di prepotente per anestetizzare il dolore di San Siro che ogni tanto torna, ricompare, fa male e lascia il segno, a meno che un «monello di Frattamaggiore» non riesca a regalarsi una notte come quella di Torino. «Ma adesso ci aspettano quattro ­ finali e dobbiamo vincerle tutte per dare un senso a quel successo, altrimenti sarà stato inutile».

BACIONI. Firenze, rieccola: ed è sempre un contrasto d’emozioni, perché quello è lo stadio dell’infortunio di quattro anni fa, ma è pure la dimensione favolistica che lascia dentro casa-Italia, cioé Coverciano, che sta appena un po’ più in là della recinzione. Firenze è un mondo racchiuso in cinque gol, tre in campionato ma due in coppa Italia, all’Olimpico di Roma, nella notte in cui la felicità si trasformò in tragedia, per il ferimento mortale di Ciro Esposito. Firenze è cultura, capolavori, sculture: la città per un artista che sa cosa disegnare a quei tifosi imploranti. «Nello scudetto noi ci crediamo sempre di più».

Fonte, Corriere dello Sport

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