Il passato
Da ragazzino non era il prototipo (sotto l’aspetto fisico) del portiere. “Secondo uno studio, prima dei quindici anni, la mia maturazione fisica era, da uno 1 a 5, 1”. Intanto, però, a 13 anni viene preso dall’Internacional di Porto Alegre, a 50 chilometri dalla sua Novo Hamburgo. La sua città, la sua casa, con la sua famiglia. Con il papà (e la sua frase) e quel fratello, Muriel, anche lui portiere, transitato proprio da Porto Alegre: “Ho dovuto imparare a farmi da mangiare, a fare tutto, e insomma sono maturato prima degli altri. Soprattutto, sono dovuto diventare più attento, più sveglio, perché ero piccolo ed ero da solo”. Lui intanto cresce, prende di colpo 17 centimetri in un anno e compie 16 anni, quando arriva il primo stipendio, che diventa fondamentale per la sua famiglia, vista la crisi economica affrontata dai suoi, col padre (che produceva forme per scarpe) che perse il lavoro. Alisson cresce sempre di più, in altezza e comne uomo. E con lui le sue capacità da portiere. Da quarto a primo dell’Internacional, sempre più su, superando anche il fratello Muriel: “Non avrei mai pensato di riuscirci, lui mi ha fatto anche da papà. Abbiamo un rapporto non normale, migliore di quello che hanno di solito i fratelli. Ora che gioca in Portogallo, al Belenses, siamo solo a due ore e cinquanta di volo”.
Portiere-militare: le sue passioni
Perché il pensiero di lasciare il calcio c’è stato: “Non sapevo cosa mi poteva riservare il futuro ma ero tranquillo, se non avessi fatto il calciatore avrei fatto il militare. Amo la disciplina e le responsabilità”. Il ruolo di numero uno, comunque, lo rispecchia, per talento e indole. Posizione in campo quasi da solitario per un uomo che ha nel tennis e nella pesca le sue passioni. Ci scherza anche su, quando parla dei portieri: “È un ruolo che attrae quelli bravi”. Detto con l’ironia di chi sa che tanti bambini, quasi tutti, sognano di fare gol. “A volte ci penso anche io”, perché sa dell’aticipità del suo ruolo. Idoli? “Seguo tanti portieri, cercando di adattare le loro caratteristiche a me”. Fare un nome è quasi obbligatorio, però: non quello Zoff a cui viene paragonato, ma il suo Taffarel. Suo perché è il preparatore dei portieri del Brasile, quella Nazionale tra le favorite del prossimo Mondiale, che ha in Alisson il suo numero uno. In campo e anche a parole, perché è ben conscio che la perfezione non esiste: “Per questo a volte lavoro anche troppo, mi rimprovero molto. La pressione interna, mia, viene prima e mi pesa piu di quella esterna, che in passato soffrivo un po’. Ora da quella mi sento pronto a difendermi, mi sento pronto a gestire le mie emozioni, la responsabilità. So che posso reggere grazie all’esperienza di questi anni e grazie al lavoro”.
Fonte: SkySport