Storie: 1938 – Lo sport italiano contro gli ebrei
La storia di Weisz è la principale nell’ambito delle leggi razziali dello sport italiano. Nato nel 1896 a Solt, in Ungheria, era giunto in Italia come calciatore. In seguito a un infortunio e alla Carta di Viareggio, che nel 1926 aveva escluso l’utilizzo degli stranieri, l’ex studente di giurisprudenza di Budapest era passato a fare l’allenatore. Con ottimi risultati. Vincitore dello scudetto con l’Inter nel 1930, ad appena 34 anni, un primato anagrafico che tutt’ora gli appartiene, dopo una salvezza con il Bari e un brevissimo passaggio a Novara, raggiunse l’apice della carriera con il Bologna. Due scudetti consecutivi vinti tra il 1936 e il 1937, assieme alla conquista del Trofeo delle Esposizioni a Parigi contro i maestri del Chelsea, e un terzo titolo già avviato nel 1938-39, quando fu obbligato a lasciare il Paese, lo stesso Paese al quale aveva donato sei calciatori iridati, a partire da Giuseppe Meazza, fatto debuttare nell’Inter a 16 anni. Weisz uscì dall’Italia nel gennaio del 1939, riparando prima a Parigi e in seguito in Olanda, dove fu allenatore del Dordrecht. Proprio nella cittadina al confine con la Germania verrà catturato, nell’agosto del 1942, con la moglie Elena e i figli Roberto e Clara, entrambi nati a Milano ed entrambi cresciuti nella bolognese via Valeriani, sotto il portico di San Luca. Saranno uccisi ad Auschwitz. Doloroso sapere che tra i collaboratori del Calcio Illustrato, così duro contro i tecnici ebrei, ci fosse stato il magiaro, in un articolo da lui firmato nel 1937.
Il nome di Weisz, al pari di molti ebrei presenti nel Paese, compare nel censimento del 1938. Il 22 agosto di quell’anno, infatti, il Ministero degli Interni, attraverso la nuova Direzione generale per la demografia e razza, abbreviata in Demorazza, dispose una rilevazione su base razzista degli ebrei residenti in Italia. Era l’atto necessario a iniziare la strategia di separazione dal resto della popolazione, schedando e registrando ogni nome. L’obiettivo era capire chi fossero i nemici dell’italianità, gli stessi che fino al giorno prima erano stati amici di scuola, colleghi di lavoro, compagni di squadra. Risultarono 58.412 persone con un genitore ebreo e 46.656 di essi si dichiararono ebrei, di cui 37.341 stranieri e 9.415 italiani, le cui schede prefettizie sono conservate all’Archivio di Stato di Roma. La proporzione era di un ebreo su mille italiani. E quella fu la percentuale che Mussolini provò a imporre a tutte le categorie professionali: avvocati, medici, professori universitari. Il principio fu ancora più duro per gli impiegati pubblici, estromessi al completo dagli organigrammi statali.
Fonte: SkySport