Partire largo a sinistra per accentrarsi e calciare con il destro sarebbe diventata la sua cifra stilistica anche e soprattutto durante la parentesi – durata soli tre anni, decisamente più breve di quanto ricordassi – in Premier League, quando «giocavamo e ci sentivamo come se fossimo imbattibili, il miglior periodo della mia vita da calciatore», come ha dichiarato lui stesso. Nelle prime settimane da “Gunner” era stato titubante, anche perché reduce da un infortunio al crociato che lo aveva tenuto fuori 8 mesi. Nel ‘97-’98 l’Arsenal con lui in campo avrebbe vinto FA Cup e Premier League: Overmars partiva largo a sinistra, si accentrava e calciava col destro.
La rotella di un ingranaggio perfetto
Eppure, di quella stagione dorata, il primo calciatore olandese dei “Gunners” che torna in mente non è lui, ma Dennis Bergkamp. L’immagine di Marc Overmars prende forma sempre e soltanto quando viene proiettata sullo sfondo delle immagini di altri calciatori. È un bassorilievo, scavato tra un profilo e l’altro dei suoi colleghi più illustri, quelli che in campo hanno disegnato il contesto giusto affinché le sue caratteristiche sortissero degli effetti devastanti. Overmars non era un solista, non aveva l’ego smisurato del fantasista, non era geniale, eppure aderiva all’idea di pragmatismo collettivo che van Gaal aveva conferito al suo Ajax.
In Brilliant Orange di David Winner c’è una bella immagine descritta dal fotografo Hans Van der Meer, che dice «ci sono uno o due momenti in cui una situazione assume certi sviluppi che tu capisci che qualcosa sta per succedere. Un momento di tensione, di possibilità. E tutti, sugli spalti, condividono questa tensione. […] È come negli scacchi. Quando i giornali raccontano una partita di scacchi, non ti parlano dell’ultima mossa. Ti parlano di che posizione avevano gli scacchi dieci mosse prima dell’ultima, perché è la situazione più drammatica. Il centrocampo è una zona spesso più drammatica dell’area di rigore. Il momento del gol non è mai particolarmente interessante. Ma cosa succede prima del gol: quello sì che è un momento interessante».
Quando partiva dalla linea di centrocampo, Overmars rappresentava meglio di ogni altro la tensione, il punto di fuga, il centro focale delle manovre dell’Ajax. L’attimo in cui la palla arrivava tra i suoi piedi, o in cui suggeriva il passaggio in profondità, era l’attimo in cui le cose iniziavano a succedere. Nell’idea di calcio di van Gaal, i giocatori di una squadra sono legati l’uno all’altro da uno stretto rapporto di dipendenza. Come diceva lo stesso tecnico, nelle parole che Jonathan Wilson riporta ne La piramide rovesciata: «Ogni giocatore deve portare a termine i suoi compiti base al meglio delle sue abilità, e questo richiede un approccio disciplinato in campo».
L’efficacia di Overmars, senza il contesto che circondava Overmars, non sarebbe mai esistita. Il suo calcio era la summa del calcio di Litmanen, di Kluivert, di Kanu, di chi lo lanciava in profondità. Lui era devastante nella misura in cui si faceva acceleratore di particelle di un flusso vitale preciso, ben congeniato. Come in questa azione contro il Feyenoord.
Fonte: SkySport