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Jack Wilshere, la continua illusione dell’Arsenal

Jack Wilshere nella sfida di Carling Cup contro il Wigan.

Wilshere in quel momento sembra la risposta inglese ai centrocampisti tecnici e brevilinei che la Spagna aveva iniziato a produrre in quegli anni, temperando un po’ la piega ultrafisica che il calcio stava prendendo. Dopo anni di centrocampisti box-to-box, tutto-fare nel corpo di quattrocentometristi, Wilshere era la rappresentazione che anche il calcio inglese poteva cambiare, cercando uno stile di gioco più di controllo sul pallone. Lo stesso Wenger lo aveva definito con un’immagine efficace: «Wilshere ha la tecnica spagnola ma il cuore inglese».

Pochi mesi prima di quella partita Wilshere aveva esordito in Premier League. A 16 anni e 265 giorni è il giocatore più giovane dell’Arsenal a farlo, scalzando in questa classifica proprio Cesc Fabregas. In un 4-2-3-1, il modulo di riferimento del calcio europeo in quegli anni, Wilshere può giocare sulla linea dei trequartisti in tutte e tre le posizioni. Ha la visione di gioco e il controllo dello stretto per stare al centro e divincolarsi negli spazi più stretti, ma è abbastanza veloce per essere utile anche allargandosi sulla fascia, dove può prendere spazio e sfruttare la sua abilità nell’uno contro uno. Fabio Capello, ct dell’Inghilterra, si è lanciato subito sul carro della “next big thing”: «Se Wenger lo farà giocare, me lo porto al Mondiale in Sud Africa».

Ho scritto questa lunga premessa per restituirvi il tipo di considerazione di cui godeva Jack Wilshere a inizio carriera. Sono passati 9 anni dal suo esordio e oggi fatichiamo a far tornare alla mente l’immagine di Wilshere come giocatore più atteso dal calcio inglese. Oggi ha ancora 25 anni ma da tempo ormai le persone hanno smesso di aspettarsi qualcosa da lui. In questa stagione ha giocato appena 560 minuti nell’Arsenal e negli ultimi due anni – uno dei quali passati in prestito al Bournemouth – è stato fuori per infortunio per un totale di 370 giorni. Numeri quasi da giocatore inattivo.

L’uso del talento

Dopo i suoi esordi la carriera di Wilshere aveva già iniziato a prendere una traiettoria meno lineare. Al termine della sua stagione d’esordio, il trequartista gallese avrà messo insieme poche presenze e non andrà ai Mondiali. Viene girato in prestito al Bolton, dove Wilshere fa bene nella seconda parte dell’anno, ma inizia a mostrare limiti di adattamento al contesto inglese.

Nonostante l’attitudine allo scontro fisico e al gioco intenso della Premier, Wilshere è utile solo quando può associarsi palla a terra con i compagni vicini. Non è un giocatore da grandi strappi ma un cucitore di gioco e nel contesto frenetico della Premier League è difficile trovargli un’utilità. In Inghilterra i giocatori offensivi devono saper manipolare lo spazio più che la palla, punendo gli avversari nei momenti in cui perdono le distanze. Le eccezioni sono rare e riservate a quei calciatori che riescono a imporre il proprio tempo alla partita – Özil, David Silva, Eriksen – ma Wilshere non è quel tipo di calciatore. Come l’Arsenal, accetta i ritmi alti della Premier League, declinandoli in un gioco di scambi veloci palla a terra. I “gunners” di Wenger, la squadra che lo ha formato, diventa praticamente l’unica in cui può esprimersi.

Nel 2011/12 torna all’Arsenal ma inizia ad essere flagellato dai problemi fisici. Salta tutta la stagione per un infortunio alla caviglia e alla fine non può presentarsi sui palcoscenici che avrebbero potuto consacrarlo, prima gli Europei e poi le Olimpiadi. Wilshere comincia a rientrare nell’immagine del giocatore dal talento luminoso e fragile, che non riesce a sopravvivere al darwinismo del calcio contemporaneo.

L’anno successivo l’Arsenal cede van Persie, e Wilshere decide di assumersi la responsabilità di vestire la maglia numero dieci. È la sua stagione migliore. Vince il premio di migliore in campo contro il Queen’s Park Ranger, poi contro il West Ham, e in quel periodo firma un nuovo contratto. Per dare la misura di quanto tempo sia passato, eccovi le parole di Wenger: «Jack è già ora un leader della squadra e lo sarà ancora di più in futuro. Siamo davvero contenti di aver rinnovato il suo contratto».

Alla fine di quell’anno l’Inghilterra vince 2 a 1 un’amichevole contro il Brasile e Wilshere spicca per la sua capacità creativa sulla trequarti, in un contesto in cui ci sono giocatori come Neymar, Rooney e Ronaldinho. Prima di quella partita Gerrard aveva definito “scary” (pauroso”) il talento di Wilshere; Lampard aveva parlato di «Un giocatore fantastico. Ha qualità col pallone e velocità per saltare l’uomo. Sarà un giocatore enorme, in Inghilterra e nel mondo». Dopo la partita Hodgson dirà che Wilshere può arrivare senza problemi tra i migliori giocatori del mondo; gli chiedono se non sia azzardato mettergli così tanta pressione: «Finché lui è così a proprio agio con la pressione qual è il problema?».

Wilshere in effetti sembra poter sostenere il peso del proprio talento senza debolezze. Dopo l’infortunio di Vermaelen indossa la fascia da capitano nell’Arsenal. L’anno dopo gioca spesso più avanti, sull’esterno offensivo, e segna molto. Nel momento caldo della stagione però si infortuna al piede e salta alcune sfide decisive. Quando rientra, il 28 maggio contro il Norwich, segna il gol più bello della stagione secondo la BBC ed è una sineddoche della carriera di Wilshere: bellissimo e inaffidabile. In realtà è un gol dalla bellezza collettiva, uno di quei momenti in cui l’Arsenal trasforma la trequarti avversaria in un flipper di cui lui solo conosce le regole; eppure è un gol che inizia e finisce con Wilshere, e che descrive bene le sue caratteristiche, il tuo talento nel mantenere una grande sensibilità tecnica in velocità, in spazi stretti, in verticale.

Fonte: Sky

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