In transizione negativa, l’Arsenal indirizza il possesso verso Sissoko, che non ha il linguaggio del corpo di chi deve lanciare la ripartenza. Molto lucido Xhaka, che attacca Eriksen ma se ne tiene a debita distanza per non compromettere l’equilibrio strutturale.
Con questa vittoria, l’Arsenal ha definitivamente riagganciato il gruppo delle inseguitrici e una dignitosa posizione di classifica. Non era scontato che ci riuscisse così presto dopo la consueta falsa partenza, che accomuna tutte le ultimi stagioni della gestione Wenger (quest’anno soli 7 punti nelle prime 5 giornate), né che ci riuscisse attraverso una decisa affermazione in uno scontro diretto dopo aver nettamente perso quello contro il Manchester City, che aveva dominato nel possesso frustrando Wenger con i meccanismi di riaggressione. In mezzo alle due partite c’è stata la pausa Nazionali, c’è stato il reintegro tra i titolari di Lacazette, c’è stato il recupero della difesa a tre dopo il debole esperimento del 4-3-3, e infine il ritorno tra le mura amiche dell’Emirates Stadium, dove l’Arsenal vince ormai da 11 partite consecutive, un record dalla demolizione di Highbury ad oggi.
Un nuovo inizio?
Tuttavia questi fattori non restituiscono la misura della trasformazione, consumatasi nel giro di due settimane, da squadra passiva e insicura a squadra rocciosa e aggressiva. In parte, è vero che l’Arsenal è una squadra che si scopre strada facendo, ed è una considerazione valida tanto per gli spettatori quanto per gli interpreti in campo. In fase offensiva non dà mai l’impressione di attivare meccanismi consolidati, e questo in qualche modo giustifica le partenze difficoltose, così come i progressivi miglioramenti a cui si assiste in corso d’opera. La vittoria contro il Tottenham ha mostrato quale sia la miglior formazione titolare possibile, e da qui in avanti quei giocatori continueranno ad affinare la reciproca conoscenza in campo.
In assenza di una chiara divisione dei compiti e degli spazi, la squadra di Wenger riesce però a fare dell’imprevedibilità un punto di forza. La fluidità del gioco è a tratti penalizzata da una struttura piatta, senza linee di passaggio in profondità, ma è sufficiente un’intuizione del singolo ad accendere la scintilla delle combinazioni rapidissime, e ce ne sono diversi in grado di fare la differenza con i ripiegamenti e gli inserimenti nello spazio (Ramsey, Lacazette, Sánchez). Il cileno, in particolare, mette sempre in campo quell’agonismo prepotente con cui fa credere ai difensori di stare per muoversi in una direzione nel momento stesso in cui ha già accennato lo scatto verso la direzione opposta, e condivide con tutti i compagni di reparto la volontà di giocare a uno/due tocchi e muovere il più possibile il pallone.
Fonte: Sky