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Inevitabile epilogo di una battaglia persa, ora l’occasione per rifondare

ROMA – Le dimissioni più attese della storia del pallone. Finalmente. Detto questo non è una battaglia vinta anzi è solo l’inevitabile epilogo di una battaglia perduta. Il punto più basso raggiunto dal calcio italiano da 60 anni a questa parte. Per cui niente trionfalismi e anzi un enorme senso di vuoto, di buco di potere da colmare con maggiore buon senso, più capacità e soprattutto meno tracotanza di prima. Ma il calcio liberato dall’impresentabile Carlo Tavecchio non può far felice nessuno. Per cinque ordini di motivi: 

1) Perché Tavecchio a capo del calcio non avrebbe mai dovuto essere arrivato. Eppure ci è arrivato nonostante tutto.
2) Perché la crisi della Federcalcio e della Nazionale era già cominciata da ben due mondiali prima e anzi Tavecchio aveva sfruttato proprio il treno della crisi.
3) Perché la crisi della Nazionale e della Federcalcio è sulla coscienza dei presidenti di serie A, a cominciare da quelli più importanti e rappresentativi, che Tavecchio hanno eletto, conservato, dandogli appoggio fino al limite estremo e abbandonandolo solo quando ormai non era più salvabile.
4) Perché non è affatto escluso che altri Tavecchio possano essere geneticamente riprodotti.
5) Perché c’è chi ha fatto peggio di Tavecchio, che è un politico impresentabile e che sapevamo benissimo quali comportamenti avrebbe tenuto (insomma c’eravamo preparati), mentre il ct Giampiero Ventura, che è uomo di sport non ha sentito nemmeno il morso della coscienza e il dovere morale di fare un passo indietro nel momento del disastro. Per cui eliminando Tavecchio non è che per miracolo si moralizzi il calcio.

Detto questo, lo sgombero forzato di Tavecchio dalla Federcalcio era la base imprescindibile per la ripartenza. Dunque punto e a capo e che il calcio si metta al lavoro con spirito di servizio per il bene generale. Cosa che fino ad ora non è avvenuto. A questo livello il calcio è lo sport delle gelosie e dei veleni.
Adesso bisogna dire chi dovrebbe comandare e cosa si dovrebbe fare, ma credo che in due ore si potrebbe fare un programma decente di cose realizzabili e intelligenti (non le seconde squadre che secondo me inquinano e tolgono regolarità ai campionati sostanzialmente uccidendoli e creando danni assai superiori ai vantaggi) e scegliere una rosa di nomi giusti, fra cui molti addetti ai lavori, manager, persone in cui la gente possa riconoscersi e avere fiducia. Siamo al giorno zero dell’anno zero del pallone. Raggiunto il fondo dell’esclusione mondiale, difficilmente (forse, speriamo) il futuro potrà essere peggio di questo.

Dieci brevi proposte per rilanciare il calcio tecnicamente
Detto che il tracollo mondiale è stata una pura follia tecnica, che pesa sulla coscienza di una gestione folle della nazionale e brutalmente delle ultime partite, che siamo andati fuori anche solo per non aver fatto giocare Insigne, che sostanzialmente ci siamo autoesclusi da un Mondiale dove comunque era possibilissimo andare, è chiaro che l’occasione per la rifondazione e la ristrutturazione del calcio è troppo importante. E vada colta al volo. Con norme e adeguamenti che ormai sono sotto gli occhi di tutti. Ho provato a farne uno stringato decalogo, lasciando da parte il complesso argomento dei diritti tv che comunque forniscono oltre un miliardo di euro all’anno, per cui togliamoci dalla testa di essere dei poveri straccioni. Ai Mondiali ci sono andate trentadue nazionali, di almeno 20/25 sono meno ricche e hanno problemi ben maggiori del nostro calcio. Ecco comunque un breve decalogo.
 
1) Serie A a 18 squadre, drastica riduzione del numero di club professionisti (oggi 102).
2) Valorizzazione e finanziamento obbligatorio dei vivai, con detrazione dalla quota dei diritti tv.
3) Generale politica di rilancio del calcio presso le scuole e i quartieri metropolitani.
4) Campionati dalla B in giù con l’obbligo di valorizzazione dei giovani azzurrabili (già esiste ma i risultati sono stati trascurabili).
5) Tecnici federali a tutti i livelli  e diffusi sul territorio, preparati e professionisti che si occupino della diffusione di un moderno modello di gioco del calcio italiano.
6) Irrigidimento delle norme per l’iscrizione ai campionati (vedi da ultimo il caso Palermo) troppo spesso trascurate.
7) Tetto rigido agli stipendi nei campionati sotto la serie A.
8) Via il cosiddetto paracadute per la retrocessione dalla A alla B.
9) Obbligo per le società di ristrutturare, valorizzare e modernizzare gli stadi.
10) “Ius soli” per il calcio.

fonte: Repubblica.it

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