Ferguson, le botte per CR7 e i litigi con Beckham
Il lato oscuro di Alex Ferguson. Tutto ciò che, in pratica, si cela dietro il trasferimento di un calciatore. Tony Coton, allenatore dei portieri per quasi un decennio dello United, ha raccontato come siano state portate a termine le esperienze di grandissimi calciatori del Manchester, per mano di Sir Alex, in un lungo scritto pubblicato sul Daily Mail. Ma anche di come ha saputo educare Cristiano Ronaldo alle maniere forti. “Trattava ogni giocatore allo stesso modo e nessuno aveva privilegi. Come allenatore dei portieri dello United tra il 1998 e il 2007 ho potuto osservare da vicino quanto Ferguson fosse calcolatore, promuovendo le cessioni di Beckham, Keane e Van Nistelrooy in un momento in cui chiunque altro li avrebbe considerati indispensabili. Ricordo una lite dopo la gara di FA Cup con l’Arsenal nel 2003, tra Beckham e Sir Alex. L’allenatore calciò una scarpetta che colpì di striscio il giocatore vicino l’occhio, facendolo anche sanguinare un po’. Neville e Giggs a fatica mantennero calmo il compagno di squadra, Ferguson si scusò ma David non ne volle sapere. I giornalisti vennero a conoscenza dell’incidente e da quel momento metteva in bella vista la ferita sul sopracciglio, in modo da mostrarla al mondo; capii che quella era stata una mossa architettata dagli esperti della comunicazione che lavoravano con lui, per incolpare Ferguson. L’allenatore era sempre disposto a sacrificare un giocatore stellare se sentiva che era necessario a mantenere il controllo: era il suo primo comandamento nel lavoro” racconta Coton di Beckham.
Capitolo Roy Keane
Per Roy Keane, le sorti non furono così differenti: “Così – prosegue Coton – quando Keane provò a sfidarne l’autorità un paio di anni dopo, ce ne era soltanto uno che poteva uscirne vincitore e non era Roy. In questo caso, la scintilla fu un’intervista che il giocatore fece alla tv ufficiale del club nel novembre 2005, criticando i compagni dopo la sconfitta per 4-1 contro il Middlesbrough, ma secondo me si può far risalire anche all’estate di quell’anno quando Keane decise di testare la solidità del legame tra Sir Alex e il suo assistente Carlos Queiroz dopo una stagione di incomprensioni. Ferguson decise di istituire un ritiro in Portogallo e consapevole che avrebbe ridotto le vacanze dei calciatori, dispose che si provvedesse anche agli alloggi per le loro famiglie. Keane invece avrebbe preferito rimanere in vacanza sulla costa e viaggiare ogni giorno per andare all’allenamento, in quanto la villa a lui riservata non era attrezzata come quella che avrebbe dovuto lasciare. Gli venne offerta una sistemazione migliore, ma la proposta fu rispedita al mittente perché l’acqua della piscina era troppo fredda. In una grigliata con le famiglie, Keane cercò Ferguson per parlargli, ma l’allenatore gli mise subito in chiaro che non era il momento di fare quel tipo di discussioni. Roy non prese parte alla tournée in Asia un paio di settimane dopo e la ragione ufficiale era che non era ancora al top della forma fisica; venne poi ceduto al Celtic”.
Van Nisterlooy e le parole di troppo
“Per quanto riguarda Van Nisterlooy, era sconvolto di esser stato relegato in panchina per la vittoria dello United nella coppa di lega del 2006. Sir Alex fece entrare Ronaldo per Richardson, Evra per Silvestre e Vidic per Brown, così l’olandese cominciò a maledirlo. ‘E’ finita qui, nessuno mi parla in questo modo’ mi sussurrò Ferguson. Quindi, dopo la vittoria, andò negli spogliatoi e disse a Ruud che l’avrebbero venduto: non proprio il momento migliore per dire certe cose”.
CR7 e un battesimo di… botte
“Ferguson mostrò subito cosa pensasse di un Ronaldo ragazzino dandogli la numero 7, che allo United è iconica. La cosa più importante, però, fu l’abilità nel riconoscerne le debolezze. Uno dei difetti di CR7 era quello di cadere troppo spesso a terra, come una bambola di peluche. L’allenatore intraprese una missione per renderlo più grintoso: i membri del suo staff furono incoraggiati a ignorare i falli sistematici che venivano commessi su di lui nelle partitelle in allenamento. Non era per niente un gioco, non si facevano prigionieri. Tanto che Ronaldo spesso non si rendeva conto di quale compagno lo avesse colpito. Quando non gli veniva fischiato il fallo, alzava le braccia al cielo e imprecava in portoghese. Era un amore difficile, ma pian piano il messaggio cominciò ad insinuarsi nella mente di Cristiano”.
Fonte: Sky