Marcello Lippi: “Il futuro è dell’Italia, in Spagna può farcela”
MARCELLO Lippi continuerà almeno fino a gennaio 2019 a spiegare ai cinesi che se i ragazzini giocano solo a ping pong (“E vi assicuro, qui giocano solo a ping pong”) difficilmente diventeranno un colosso del calcio. Potranno anche comprare il mondo, però non vinceranno nulla: “Lo ripeto disperatamente, forse adesso i presidenti cominciano a capire che la grandezza di un movimento sportivo la fanno le basi, i giovani, non i capricci sul mercato”. Il nostro patriarca ha appena rinnovato il contratto, pensando alla Coppa d’Asia 2019. Solo un miracolo aritmetico può portare la sua Cina in Russia, e lui lo sa: “Guardiamo più avanti”. Per adesso, al mondiale degli altri. Cioè degli azzurri: un po’ anche suoi.
Anche lei crede che in Spagna, sabato, per l’Italia sarà quasi impossibile vincere?
“No davvero. Sfida difficile, ma alla nostra portata. L’Italia è l’espressione di un calcio in crescita, giovane, pieno di entusiasmo e talento. Loro invece stanno vivendo una leggera involuzione che riflette il ciclo ormai al termine del Barcellona, grande fornitore della nazionale. E poi gli azzurri hanno già battuto le furie rosse all’Europeo dell’anno scorso, non partono battuti”.
Ma gli spagnoli hanno tolto all’Italia due Champions in tre anni.
“Il calcio di club è un’altra storia, e comunque vedrete che quest’anno andrà diversamente anche lì”.
Cosa pensa del lavoro di Gian Piero Ventura?
“Tutto il bene possibile; ha cercato il talento e lo ha innestato con coraggio. Dispone di ottimo materiale e lo sa: credo che nessuna nazionale al mondo abbia, in prospettiva, un gruppo migliore del nostro. Saremo protagonisti per molti anni, cominciando dal prossimo mondiale al quale arriveremo, Spagna o non Spagna”.
Ma come si spiegano le annate dei calciatori? Come per la vendemmia?
“La qualità delle generazioni è imprevedibile, almeno per quanto riguarda i picchi, le eccellenze. Di sicuro, la crisi precedente non dipendeva dagli stranieri: quelli c’erano anche ai tempi di Baggio, Del Piero e Montella. Semplicemente, ora sono nati e cresciuti tanti campioncini: l’estro non si allena”.
Chi le piace di più?
“Nell’under 21 sono tutti bravissimi. Di getto dico Bernardeschi, Pellegrini, Donnarumma e il blocco dell’Atalanta, anche se qualcuno ha cambiato città. Ragazzi che nei loro club erano e saranno finalmente titolari. Ci faranno vincere tanto”.
Nel frattempo chi vincerà in Russia?
“Tedeschi sempre su tutti, non si scappa”.
Non le dispiace non essere il direttore tecnico azzurro?
“Moltissimo. Ne avevamo parlato per mesi, io e le persone che stavano riscrivendo le regole sul conflitto d’interessi per chi ha parenti procuratori di calciatori. Poi, due giorni prima della mia firma è cambiato tutto”.
Qualche idea sui motivi?
“Oh, un’idea molto chiara, però non è il caso di renderla pubblica. È andata così, pazienza”.
Dal mondiale alla Champions: ottimista a oltranza?
“La Juve passerà il turno insieme al Barcellona, il Napoli può vincere il girone, lo vedo protagonista ovunque. Più dura per la Roma che dovrà eliminare una tra Chelsea e Atletico Madrid, un bel problema”.
Il mercato ancora discute di Neymar e Bonucci: lei che idea si è fatto?
“Non mi scandalizzo, è la legge della domanda e dell’offerta. Si sarà ormai capito che il fair play finanziario è una burla, una barzelletta. Su Bonucci: non conosco le vere ragioni di questo addio, però è chiaro che dev’essere successo qualcosa. Non credo sia solo mercato”.
Ma quanto ci perde realmente la Juve?
“Il campionato è quel romanzo giallo dove alla fine l’assassino è sempre il maggiordomo, e credo proprio che la Juventus sarà ancora un maggiordomo perfetto. La sua forza, da sempre, è lo zoccolo duro, non solo i campioni. Stavolta però c’è un Napoli bellissimo, una squadra che gioca a memoria magnificamente, velocissima e tecnica. Sarà un rompicapo per chiunque: dalla Juve alle avversarie in Champions”.
I bianconeri vinsero l’ultima Coppa con lei in panchina, nel 1996. Le due finali perse in tre anni confermano una maledizione o un ruolo comunque da protagonisti?
“Nessuna maledizione, prendersi la Champions è difficilissimo. Il Real ora è la squadra più forte del mondo e a Cardiff ha meritato il trofeo. Ma i bianconeri possono riprovarci e riuscirci, mi sembrano più completi, Dybala ormai è una stella quasi planetaria, i nuovi acquisti hanno aumentato il peso internazionale del gruppo. Mi aspetto la Juve alla finale di Kiev”.
Crede che la sconfitta in Supercoppa possa rappresentare qualcosa?
“È un allarme, un piccolo malessere curabile se affrontato in tempo. Credo che la Juve sia già oltre quella sconfitta, anche se un bravo allenatore deve inventarsi sempre qualcosa di nuovo”.
Dalla Cina cosa può dirci della Milano cinese?
“Si è rafforzata molto, qui l’attesa è grande. Suning è un colosso mondiale e Spalletti una garanzia. La nuova proprietà del Milan era più nell’ombra, ma lo strepitoso e dispendioso mercato dovrebbe aver chiarito molti dubbi. Il campionato ritroverà Milano, il suo pezzo mancante”.
Come troverà invece Roma?
“Simone Inzaghi è bravissimo, pieno di idee, il suo lavoro mi piace molto. Per la Roma sarà forse più difficile, è cambiata molto cominciando dall’allenatore. Ed è senza Totti”.
In giacca e cravatta: che effetto le fa?
“Veramente gli avevo consigliato di staccare, di mettere un po’ di tempo tra campo e tribuna, tra carriera e scrivania. Se ha preferito tuffarsi subito nel nuovo ruolo avrà i suoi motivi. Lo conosco, Francesco non può stare neppure un giorno senza la Roma e senza un pallone”.
Saprà che nella vecchia Europa è arrivata la rivoluzione della moviola in campo, per lo meno da noi, in Germania e in Portogallo. Primi casi, prime discussioni forti: cosa ne pensa?
“Il calcio non deve esagerare con la tecnologia: un po’ va bene, troppa no. Ho paura che il Var spezzerà il flusso del gioco, obbligando a mille interruzioni. Forse sarebbe stato meglio limitarsi all’occhio di falco sulla linea di porta”.
Lippi, il suo viaggio in Cina valeva proprio la pena?
“È bellissimo lavorare per il cambiamento e per il futuro, ci si sente un po’ pionieri. Quando arrivai, nell’ottobre scorso, la nazionale cinese aveva un punto dopo 4 partite. Abbiamo perso una volta sola, in Iran, abbiamo battuto la Corea del Sud e non siamo stati fortunati. Ma già pensiamo alla Coppa d’Asia”.
L’Asia: il futuro del calcio può essere davvero lì?
“La Cina ha un miliardo e 400 mila abitanti, vi lascio immaginare il numero di bambini e ragazzi a disposizione: bisogna realizzare campi da calcio, strutture e vivai, bisogna allenare gli istruttori, creando centri federali. Dall’anno prossimo nessuna squadra potrà iscriversi al campionato senza avere formazioni giovanili: mi pare un buon inizio per chi proverà ad ottenere dalla Fifa il mondiale 2030. Però i cinesi devono capire che non si cresce a colpi di capricci sul mercato, peraltro legittimi dal momento che ognuno spende i propri soldi come vuole. E senza offesa per il ping pong, giochiamo a pallone”.
Fonte: Repubblica