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Il papà del fair play finanziario “Ammazzare la concorrenza è un danno pure per sé stessi”

ROMA L’economista Umberto Lago, vicentino, 52 anni, professore all’università di Bologna, è uno dei padri del Financial Fair-Play dell’Uefa, col greco Mavroidis e il tedesco Franck. Per 8 anni ha valutato le inadempienze dei club e dall’aprile 2014 al settembre 2015, responsabile ad interim della camera investigativa, ha indirizzato i patteggiamenti di Psg, City, Inter e Roma. Ha chiuso da vicepresidente, 4 mesi fa.

Professor Lago, il FFP nacque per “aiutare i club alla sostenibilità finanziaria, a non spendere più dei ricavi, a non dipendere dai mecenati, a investire in infrastrutture”: il caso Neymar non lo sconfessa?
“No. La sostenibilità è oltre le previsioni. La perdita aggregata dei club, nel 2010, era di 1,6 miliardi di euro e nel 2015-16 di 300 milioni. Scherzando, ci dicevamo che senza la serie A il bilancio sarebbe in pari. In Italia ci sono ancora pochi stadi di proprietà. Forse ci vorrebbe un Mondiale”.

I 220 milioni per Neymar sono uno schiaffo ai virtuosi.
“L’Uefa valuta l’impatto economico. Supponiamo un’uscita di 230 milioni e l’entrata di un asset da 230 milioni, che grava sul bilancio per 110 milioni a stagione tra clausola e stipendio. Non è di per sé un male, se il club genera 110 milioni di nuovi ricavi. Il Psg arriva da due bilanci in utile: la procedura d’infrazione scatterà solo se, conteggiati gli utili precedenti, il deficit supererà i 30 milioni”.

Il sospetto sulla rescissione di Neymar, testimonial del Mondiale 2022?
“Se la clausola fosse stata pagata dal giocatore, l’Uefa qualche domanda la farebbe. Il dubbio non rimarrà a lungo. Io penso che il costo sia stato sostenuto dal club”.

L’uso politico dell’operazione da parte del governo del Qatar, motore del Psg?
“La sponsorizzazione del Qatar è stata accettata fino a un certo valore. E nel 2014 le sanzioni al Psg furono forse le più pesanti mai applicate”.

Fuori dalle coppe restano i pesci piccoli: Malaga, Rapid Bucarest, Galatasaray.
“Il Galatasaray è il più importante in Turchia. Gli offrimmo il settlement agreement, la transazione, ma non rispettò obiettivi sempre rispettati dagli altri. Il FFP mira al circolo virtuoso, non all’esclusone”.

A Inter e Roma toccò il patteggiamento per il bilancio: multa e rosa limitata.
“Mi limito a dire che i club, col settlement durante il cambio di proprietà, hanno lavorato bene. Dovrebbero esserne soddisfatti: percorso virtuoso”.

Il Milan ha chiesto per primo il voluntary agreement, di natura più politica: bocciato.
“Nessuna bocciatura. Per il ritardo nel closing con la nuova proprietà i tempi di analisi dell’Uefa erano stretti. Il dossier verrà ripresentato dopo la pausa estiva e il mercato, in un periodo più adeguato per l’istruttoria. Il Milan dovrà dimostrare la continuità del business plan per 4 stagioni. La prima è libera e la campagna acquisti senza restrizioni”.
 

Con spese azzardate, data l’esposizione finanziaria?

“No, se il business plan sarà credibile. Per evitare sanzioni finanziarie o sportive, il Milan deve portare il bilancio in equilibrio in 4 anni, incrementando i ricavi. Nel piano potrebbero essere inseriti obiettivi: se incrementi gli stipendi più di un tot, scatta la sanzione. Ma le spese per la Champions rientrano nella logica di chi investe”.
 

Le indagini sulla proprietà?

“L’Uefa ha facoltà di richiedere chi sia l’ultimate owner, il beneficiario finale. Credo che sia già stato chiarito dalla Figc”.
 

All’Ue pende un’istanza contro il monopolio delle big.

“È il nuovo tema: l’eccessiva dominanza di alcuni club. In economia, quando un settore raggiunge la maturità, ci sono fusioni e concentrazioni, restano pochi concorrenti. Nel calcio i club minori vengono emarginati e perdono tifosi. Uefa e Fifa devono regolare il fenomeno. Nello sport, se ammazzo la concorrenza, a lungo termine mi faccio un danno”.
 

La Superlega?

“Con 16 squadre su 32 alle 4 maggiori leghe, questa Champions è già una grossa concessione. È di fatto già una Superlega”.
 

Antidoti all’oligopolio?

“Si parla di tasse sui trasferimenti e rose limitate. Su un’operazione da 230 milioni, verso il 10-15% alla Uefa, che li ridistribuisce agli altri club”.
 

Pechino frena le spese folli.

“Il caso Neymar nasce da dinamiche scoppiate in Cina”.
 

E i maxi-debiti di Real & C?

“Il debito riguarda le banche, l’Uefa non può mettere in discussione il merito creditizio. Ma i bilanci di Real e Barça sono in utile: sono in grado di onorare il debito, a differenza di club con debiti minori”.
 

Il salary cap?

“Va studiato. I campionati sono diversi per ingaggi, si rischia di avvantaggiare i più ricchi. Il FFP era inderogabile: fallimenti e amministrazioni controllate rischiavano di alterare campionati e diritti tv, vedi caso Parma. Si immagina un club fallito durante la Champions?”.
 

Le retrocessioni bloccate?

“Per carità, il FFP si basa sul modello europeo, con promozioni e retrocessioni. QuelloUsa è franchising: conta il bacino di utenza. Lì Empoli e Sassuolo non potrebbero giocare in A”.
 

Dopo Neymar le big temono di perdere i fuoriclasse.

“I cambi di maglia sono un pericolo o un’opportunità, dipende dai punti di vista. La Cina ha aperto la strada al Psg. Si crea un’inflazione del mercato e c’è chi colma il gap. Il calcio oggi è affare mondiale per un pubblico di miliardi di persone”.
 

Il calcio del liberismo selvaggio è finanza?

“La parte finanziaria è fondamentale. Ma se si perde la parte sportiva, non è più sport. Se vogliamo che lo rimanga, servono regole a tutela dei club”.
 

Cambierebbe nome al FFP?

“No, vuol dire gioco onesto finanziario: nessuno deve vincere con risorse non generate dal mondo del calcio, col doping finanziario. Si può rinfrescare il concetto con il competitive balance. Nelle semifinali di Champions ci sono sempre le stesse. La nuova sfida è l’equilibrio competitivo“.

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Fonte: Repubblica

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