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I calciatori rock: da Maradona ad Osvaldo!!!

Osvaldo e i calciatori rock: quando il campione rinuncia a tutto per diventare cantante.


L’ex attaccante di Roma, Juventus e Inter ha deciso di abbandonare i campi di gioco per dedicarsi alla musica. Ma da Cruijff a Maradona a Gullit, la storia è piena di ‘piedi buoni’ che hanno cercato la ribalta dei palcoscenici musicali. Con risultati alterni.

Vi ricordate di lui, del bomber della Roma di Zeman, del globetrotter-Don Giovanni che segnava, quando era in vena, gol spettacolari a grappoli? Di quell’oriundo elegante ma parecchio incostante, un anarchico (parafrasando Rimbaud) “con le scarpette come il vento” passato per la Juve, l’Inter, la nostra nazionale di calcio e mille altre casacche? Ma che diavolo di fine ha fatto, Daniel Osvaldo? In pochi sanno che a settembre, ad appena trent’anni di età, nonostante qualche stoica offerta di ingaggio qua e là, il Johnny Depp italo-argentino del soccer ha chiuso con allenamenti e spogliatoi per darsi alla sua più autentica vocazione (ben più porosa quanto a stile di vita): la musica. Il rock, per la precisione. Venato di blues e tradizione. Barrio Viejo Rock&Roll è il nome della sua band, fondata quattro anni fa, di cui è voce e frontman indiscusso. Per loro è lecito prevedere un futuro di oneste trasferte per pub e birrerie, e magari anche tutta una serie di dischi di inediti o standard rivisitati: l’importante è metterci il blues, con pezzi di anima. E adesso questo dovrebbe diventare il suo mestiere, insomma. Che poi nel r’n’r la sregolatezza è vista e vissuta come un peccato veniale; anzi, è una virtù.

Calciatori cantanti, quando i campioni italiani intonavano ‘Azzurro’
Osvaldo nel suo elemento. Ombre di pentimento per il precocissimo abbandono del mondo del pallone? Nient’affatto: Daniel si dichiara pubblicamente felicissimo della sua decisione. E chi se ne frega dei milioni di euro a venire in fumo per far spazio a una passione destinata a non rendergli granché: “Non ce la facevo più. Finalmente mi sento libero. Quell’universo (il pallone) non mi ha mai capito e ultimamente non riuscivo più a sopportarlo. Ho amato giocare a calcio, ma negli ultimi anni mi sono accorto che non era il mio mondo. Il calcio mi ha fatto guadagnare tanto, ma non è tutto nella vita. Mi sono reso conto che mi rendeva infelice e ho deciso di dire basta. Adesso sto bene e sono sereno perché mi sto dedicando a ciò che più amo, la musica. Ogni volta che salgo sul palco mi rendo conto che è ciò che voglio veramente”. Le sue stelle polari? “Rolling Stones, Pink Floyd, Muddy Waters e Chuck Berry”.


Da maggio Osvaldo era senza squadra dopo la rottura con Guillermo Barros Schelotto, l’allenatore del Boca Juniors che l’aveva sorpreso a fumare nello spogliatoio al termine di una partita giocata in Uruguay contro il Nacional Montevideo. L’ennesimo incidente diplomatico della sua carriera. Lui è sempre stato così. Un calciatore vagamente maledetto e vicious. Una rockstar parallela, un po’ indie e un po’ mainstream. Tanto valeva allora saltare definitivamente il fosso, senza tema del ridimensionamento, dai mega-stadi ai palcoscenici di provincia. Non è escluso però, conoscendolo, che abiuri pure il rock per consacrarsi agonisticamente alla cucina molecolare o all’insegnamento del pilates, tanto per dirne due.

Gol e riff. Calcio e pop-rock. Rulli di batteria, rovesciate e colpi di tacco. Un ménage insospettabile che preesiste all’ultima svolta osvaldiana, anche se poi la realpolitik induce la maggioranza dei calciatori a trasformarsi in allenatori, dirigenti o commentatori sportivi nella loro seconda vita. Giorgio Chinaglia, già bandiera della Lazio, migrato negli States nel Cosmos di Pelé si reinventò occasionalmente cantante incidendo il resistibilissimo I’m football crazy. Un altro che ci ha provato, con risultati un filo più confortanti, è stato Alexi Lalas, stopper a stelle e strisce con rossi capelli e barba robusta che militò nel Padova: smesso il calcio, mise su la sua band, i Gypsies, con cui ha registrato tre album.

Mister Ruud Gullit, fuoriclasse del Milan di Arrigo Sacchi: lui amava il reggae, bastava guardargli i capelli. Ma invece di limitarsi ad ascoltarlo in cuffia per caricarsi nei pre-partita, come consuetudine tra i suoi compagni, a un certo punto s’è messo a suonarlo in prima persona (voce e chitarra, alla Osvaldo ante litteram), partecipando finanche all’hit South Africa. Più amatoriali il cimento sonoro di Ronaldinho, che si diverte con le percussioni in gruppi brasiliani, e di Kevin-Prince Boateng, che ai tempi del Milan sfoderava una voce prefigurante un futuro da crooner soul. L’anno scorso Gaizka Mendieta, ex Lazio, ha condiviso invece il proscenio prestigioso del festival di Benicassim con i Los Planetas, una band alternativa andalusa.

Per beneficenza, cantarono insieme dal vivo senza sfigurare Paolo Di Canio, Tommaso Rocchi e i fratelli Filippini (allora nella Lazio) e un rassemblement di grandi calciatori del campionato italiano (da Altobelli a Boniek, da Cabrini a Platini, da Rummenigge a Leo Junior) che nel 1986 raggiunsero la testa della classifica tricolore con Alleluja. L’ultimo della lista, Junior, fu anche l’interprete della canzone ufficiale della formazione carioca ai Mondiali di qualche anno prima, Voa canarinho voa. Sempre nel 1986, divenne rockstar per un giorno il David Bowie dei gol impossibili Diego Armando Maradona: el pibe de oro intonò su vinile da par suo Querida Amiga, dedicata alla mamma (insieme a tali Pimpinella).

Non gli fu da meno, nemmeno in questo, Edison Arantes do Nascimiento in arte Pelè, che compose alcuni brani musicali intrisi di samba, tra i quali la colonna sonora del film a lui consacrato, Pelé, del 1977 e diretto dal francese François Reichenbach. E se Gigi Buffon prese lezioni di chitarra, non dando poi seguito alle sue intenzioni, e il difensore della Juve Patrice Evrà si diletta col canto di successi rap, girò voce che Lionel Messi in persona, in qualità di chitarrista, stesse per imbastire una tribute band dei suoi amatissimi Oasis, col placet supremo di Noel Gallagher. Mentre quasi mezzo secolo fa si prodigò estemporaneamente nel pop un altro asso assoluto del calcio come Johan Cruyff: fenomeno in campo ma decisamente meno su disco, prova ne sia un brano da lui cantato e pubblicato nel 1969, Oei Oei Oei (Dat Was Me Weer Een Loei). Dieci anni e rotti più tardi il testimone sarebbe passato al nostro Paolo Rossi, che interpretò e incise (per la Emi) Domenica alle tre: sia il testo che la melodia scomparvero subito da ogni radar.

C’è poi il fenomeno opposto. Dei calciatori diventati musicisti. Zucchero giocò nelle giovanili della Reggiana. Francesco Baccini in quelle del Genoa. Christian nel Palermo e nel Mantova. Ma il caso più celebre è quello di Julio Iglesias: era il portiere di riserva della squadra più leggendaria di tutte, il Real Madrid, e tutti scommettevano sul suo talento, su un suo radioso avvenire nel calcio. Ma un incidente stradale a vent’anni ne dirottò il destino, costringendolo ad altra fama, così lontana e così vicina.

Carlo Ferrajuolo

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