ESCLUSIVA PA – ALEXIA: “NEI GIOVANI MANCA LA CAPACITA’ DI ANALIZZARE PROFONDAMENTE LA SOFFERENZA”
In onore della S.S. Maria Del Carmelo a Montesarchio, in provincia di Benevento, Pianetazzurro.it, in collaborazione con Campania Veritas, ha intervistato Alexia, artista di calibro internazionale, con oltre 5 milioni di dischi venduti, otto dischi d’oro e 2 di platino.
La cantante ha in pratica mandato in visibilio la folla presente. Due ore di grande musica, in cui Alexia ha riproposto i suoi brani più celebri, cover di alcuni suoi colleghi e qualche inedito, come Beata Gioventù, che fa parte del suo nuovo album che uscirà il 29 settembre. Accompagnata da una band di altissimo livello, Alexia ha confermato, nonostante i suoi 50 anni, tutte le sue qualità, mostrando vocalità e grinta da vendere. Una serata, insomma, che in molti non dimenticheranno facilmente.
Ai microfoni di Pianetazzurro, l’artista spezzina ha dato anche qualche consiglio a chi, come lei, ha scelto di intraprendere questo lavoro.
Dove trova Alexia tutta questa grinta e, soprattutto, qual è il segreto per restare a certi livelli?
“Guarda, ti confesso che ho avuto un periodo dove mi sono assentata un po’ di più. Poi c’è stato un campanello che mi ha avvisato che era il momento di ricominciare. Nella location in cui siamo questa sera ci sono stati grandi artisti. Come loro, in una microscopica parte, mi ritengo artista anche io. Voglio ripartire da questo momento, e lo sto facendo con una con una grande passione”.
Alcuni singoli del tuo nuovo album, come Beata Gioventù, sono canzoni che parlano un po’ dei giovani di oggi, con le loro ansie, le loro paure e le loro angosce che, in un certo senso, rivedi nella tua primogenita. Vuoi spiegarci com’è nata questa che a me piace definire una nuova creatura, senza fare torto agli altri album, tutti molto belli.
“Questo album, che uscirà completamente il 29 settembre, al momento ha fuori solo due singoli. E’ nato con l’intento di ripartire con una nuova consapevolezza: prima della maternità ero un’artista che si esibiva soltanto. Ritornare sul palcoscenico con dei figli, in un certo senso, significa coccolare il tuo ego ma, soprattutto, coccolare la tua passione. L’ho voluto fare con dei temi che mi stavano molto a cuore, come la gioventù, che io oggi vivo con la stessa emozione di 20 anni fa. Un’ emozione che vedo negli occhi dei miei giovani colleghi. Vedo le loro illusioni, le paure, le incertezze, tutte sensazioni che io ho vissuto con prospettive diverse, perché io so cosa mi è capitato, loro, invece, ancora non sanno cosa gli succederà”.
A questi giovani che fanno il tuo lavoro e si trovano ad affrontare una notorietà improvvisa, ma poi attraversano periodo bui, andando quasi nel dimenticatoio, cosa consigli dall’alto della tua esperienza?
“Devono essere molto intelligenti a valutare le cose che vogliono fare. Ad esempio, io non sono qui per dire di non fare i talent show. Bisogna fare un’analisi ben precisa. Il talent è un grande programma televisivo, ma il rischio che corrono i ragazzi è quello di vivere per il tempo che questi programmi esistono. E’ un po’ come andare a Sanremo e dopo tre mesi non ricordarsi più chi l’ha vinto”.
Oggi c’è molta difficoltà nel trovare testi di una certa profondità. Ci sono tante canzoni di largo consumo che si ascoltano per qualche settimana e poi nessuno più le ricorda. Perché tutto questo? Mancanza di menti creative o cosa?
“Mi verrebbe da dire che c’è poca sofferenza, ma in realtà non è così perchè i giovani soffrono tanto. C’è poca profondità nell’analizzare le proprie sofferenze. Un’artista come Ermal Meta, che non è italiano di origine, che ha vissuto i bombardamenti e sentiva musica vietata, ascoltava Michael Jackson nei bunker, ha sicuramente una sensibilità diversa rispetto ad un ragazzo della stessa età che è nato in Italia. Manca, secondo me, la capacità di analizzare profondamente la sofferenza”.