Un compleanno molto speciale in questa domenica 9 luglio: il grande Lino Banfi compie 81 anni. Il comico pugliese vive un momento delicato, preoccupato per le condizioni di salute della moglie, ma si è detto ottimista. Per festeggiarlo riviviamo i suoi trascorsi da allenatore con la mitica Longobarda…
di Alfredo Corallo
“Lei è un disoccupato, lo sa?”. “E lei è un cornuto, lo sa?!”. Quando Sky on demand e persino il dvd erano pura “utopia” – un po’ come l’ingrediente magico del caffè de’ Sarvatore Gargiulo in Vieni avanti cretino (avrete afferréto) – si aspettava che l’autoreverse del videoregistratore corresse all’indietro per ripassare le scene: le trovavi “a occhio”, cosa non complicatissima se un film lo sapevi a memoria, vedi il caso del nostro L’Allenatore nel Pallone. Perché un classico dopopranzo estivo domenicale da adolescente italiano degli anni ’80 non poteva prescindere da una replica del “capolavoro” di Sergio Martino. Specialmente al sud.
Era consolatorio: le notizie di mercato non potevi seguirle in tempo reale sull’iphone, e una volta letti i quotidiani sportivi (imparati a memoria anch’essi, che neanche gli “aedi” greci) non restava che andare a spasso per MilanoFiori con il commendator Borlotti e la “Iena del Tavoliere”. Così, tra un “Rummenigge cià cià cià”, i 7/8 ottavi di Collovati per la metà di Mike Bongiorno, e un “Mara-dò, Mara…donna benedetta dell’incoroneta!” ridevi e dimenticavi per un attimo che al campionato mancava ancora l’infinità di due mesi. Per ricordartene più tardi, in cortile, nel riprodurre una sorta di probabili formazioni (animate) con i nuovi acquisti di giornata. Ma che ne sanno i 2000…
Com’è dura l’avventura
Oggi Lino Banfi compie 81 anni, ma non ha molta voglia di festeggiare. Anche la morte di Villaggio l’ha turbato, profondamente: “Caro Paolo – ha scritto sulla sua pagina Facebook – l’avventura comincia ad essere dura anche per me. Insieme abbiamo fatto ridere tutta l’Italia. Ora tu prepara il set per far ridere anche quelli lassù, poi ci vediamo. Senza fretta…”. Tuttavia, la ragione principale del suo malessere l’ha spiegata venerdì durante un festival letterario a Polignano “a Mére” dove ha presentato la sua biografia HoTtanta voglia di raccontarvi… la mia vita e altre stronzéte (è proprio il titolo del libro).
“Sono in Puglia e ve lo devo dire: mia moglie sta molto male. È difficile far sorridere quando si ha una persona cara che non sta bene. Mi sposto raramente, perché voglio stare vicino a lei”. Ma la vuole “titolare” quanto prima: “Tornerò qui con la mia Lucia, è una promessa”. E Oronzo Canà è uno che mantiene le promesse, da vero eroe: anche se all’inizio, alla Longobarda, l’avevano preso per un cogl…
Self Control alle cime di répa
La commedia parte dalla finale di Coppa dei Campioni, ultimo atto della stagione: Oronzo è in modalità fantozziana da “frittatona di cipolla”, ma viene distratto continuamente dalla moglie (torinese) che sogna di aprire saloni di bellezza, “beauty parlor”… e come se non bastasse la figlia torna a casa piangendo “molléta” dal fidanzato Diomede: “È tutta colpa tua perché sei un allenatore di serie B, e per giunta esonerato!”. Naturalmente Canà non vedrà il gol di Pruzzo (“porca putténa mi avete fatto perdere pure il gol”) e dovrà sorbirsi il paragone con Liedholm, impassibile anche davanti al vantaggio della sua Roma contro il Liverpool. “Grazie che c’ha il self control, c’ha tutto quello vuole, il Barone Nils Liedolm: il vigneto, l’oliveto, i vini doc, i vini dich, e pure i soldi, sempre: panchina lunga…”. L’espressione inglese era il tormentone di quell’estate del 1984: proprio il foggiano Raf (da Margherita di Savoia) aveva “spaccato” in tutta Europa con la sua Self Control, che rimarrà una canzone-manifesto del decennio: con il suo edonismo, la Milano da bere, altro che autocontrollo…
Al Bar dello Sport
Il contrasto nord-sud era stato anche la carta vincente del precedente film di Banfi, “Al Bar dello sport”, del 1983: da povero “disgrazieto” a “bacieto” dalla buona sorte, Lino, per gli amici del bar l’Avvochéto – vestiva dallo stesso sarto di Gianni Agnelli, diceva lui – in realtà “elettrauto” del crostaceo nei profondi abissi del banco di un sinistro pescivendolo (“Respirano le vongole, respirano!”), il nostro emigrante di Canosa a Torino si era ritrovato con la vincita di un miliardo e 300 milioni al Totocalcio buttata nuovamente a mare, inghiottita dalle fauci di una vorticosa roulette, “per colpa di Paro(u)la” (il sordomuto geniale interpretato da Jerry Calà). L’agognato riscatto sociale, le umiliazioni subite dal cognato sabaudo arcistufo di mantenerlo (“L’è tuta colpa di Garibaldi!”), ma da cui si era apparentemente affrancato, il sogno di vivere tra ostriche (fresche) e champagne, si erano di colpo infranti su un tavolo verde del Casinò di Sanremo.
“Io non ci torno a Torino a fare zizizì con le aragoste, non ci torno!” e aveva ragione, dopo che era riuscito nel suo personalissimo miracolo economico di indovinare l’improbabile “2” di Juventus-Catania, supplicando anche l’aiuto divino per il rigore di Antognoni contro l’Udinese (“Madonna della Ripalta di Cerignola, fai segnare il gol ai viola”). Con l’apice del balletto nel salotto di casa imitando gol e esultanze dei vari Juary, Falcao, Schachner, Platinì, antenate del ciuccio del suo adorato Totti (Banfi è un grande romanista). Alla fine ancora il “2” lo salverà da una vita di stenti, ma il bello doveva ancora venire…
Il cappotto di Aristoteles
Sarà l’estate del 1984 quella in cui verrà ribattezzato “Il Campionato più bello del mondo”: Maradona, Zico, Falcao, Platinì, Sócrates, Junior (tutti “co-protagonisti” dell’Allenatore nel pallone) contribuiranno al record spettatori nella storia della Serie A (una media di 38mila spettatori!) e il limite di 2 stranieri imposto dalla Federcalcio favorirà l’esplosione di campioni nostrani (Vialli e Mancini, tra gli altri). Fu anche l’anno – l’unico – con il sorteggio arbitrale “a gruppi”: per molti non fu un caso che vinse una “provinciale”, il Verona di Bagnoli, Briegel e della coppia d’attacco Galderisi-Elkjaer. E la Longobarda di Canà? Non potè che prenderla con filosofia: “Se Zico ha giocato con i guanti, il mio Aristoteles giocherà col cappotto”. Con tanto di ninna-nanna cantata mezza in barese e mezza brasileira (“Cicos, cicos, Canos, Canos…”) antidoto alla saudade del fenomeno scovato in una favela di Rio, a due passi dal Maracanà. Dalla filosofia alla scaramanzia, come il sale e il corno rosso “antisfiga” per la pallida riserva Crisantemi (“ti ho comprato ai primi di novembre, ti chiami pure Crisantemi…”). O le pozioni magiche della suocera-meggera (“Lo voglio vedè petterra a Zico…”).
Il vate della Daunia
Come nella migliore tradizione della commedia all’italiana il film, coglie – e in alcuni casi anticipa – i costumi, le contraddizioni della società, gli steretotipi, i luoghi comuni che poi tanto comuni non sono: la moglie del presidente è l’amante del capitano (“Speroni fa soltanto i colpi che dico io”); il “carisma” delle grandi potenze (alla fine i “gioielli incedibili” Falchetti e Mengoni si accaseranno alla Juventus); procuratori cialtroni, con Giginho (Sammarchi) e Andrea (Roncato) nella parte del gatto e la volpe; l’esasperazione dei moduli (già allora) che costringerà Canà a inventarsi la B-Zona e un futuristico 5-5-5; il giornalista con la pipa, saccente e gonfio di pregiudizi già all’esordio contro la Roma di Ancelotti, Chierico, Pruzzo e Graziani, attori “strappati” al campo (“ma è stata tutta colpa di quel gol a freddo, loro erano caldi e incazzéti…”); l’annuncio in diretta del suo nuovo incarico nella trasmissione di Biscardi, “nominato” come in un reality show; il “ricatto” del presidente Borlotti al suo tecnico, forzato a tenere in panchina Aristoteles nella partita decisiva perché il club non può permettersi un’altra stagione nella massima serie (“Perdere e perderemo”).
Un punto d’onore
Lo stesso Canà cederà all’intrallazzo, abbagliato dalla possibilità di un pareggio (un punto d’onore/un punto d’oro) concordato con la Fiorentina di De Sisti, che sarà tutto un equivoco (“Io picchio De Sisti e gli spezzo pure la noce del capocollo”). Ma esiste ancora una moralità, e una dignità, da regalare all’educazione di una figlia che, nel frattempo, si è pure innamorata del centravanti brasiliano? “Ti prego papà, fai entrare Aristoteles, dai che restiamo in serie A!”. Sarà un trionfo. Buon compleanno Mister, Commissario Lo Gatto, Nonno Libero. Senza aggiungere altro. In questi casi una parola è troppa e due sono poche.
Fonte: SkySport