Marotta: “In Italia supremazia netta, Allegri…”
Dopo aver sollevato la Coppa Italia e lo scudetto, la Juventus – che chiuderà il campionato domani a Bologna – già prepara la finale di Champions. A Cardiff i bianconeri sfideranno il Real Madrid nella gara che mette in palio l’ultimo trofeo stagionale. Di questo appuntamento, ma anche dei traguardi già raggiunti ha parlato il direttore sportivo del club Giuseppe Marotta, nel corso di un’intervista esclusiva rilasciata a Tuttosport. Queste le sue parole.
Da Berlino a Cardiff
“Quando siamo arrivati alla Juventus nel maggio del 2010 abbiamo trovato un ambiente sfiduciato, ma soprattutto privo di cultura calcistica ed è quello che, in primis il presidente, poi noi dirigenti, abbiamo cercato di riportare all’interno del club. La finale di Cardiff è la realizzazione di un progetto: pensato, meditato e realizzato in estate; La finale di Cardiff è nata in estate, con un mercato che era stato pensato per quell’obiettivo; Agnelli, Nedved, Paratici ed io, insieme con l’allenatore, avevamo deciso di alzare l’asticella. E ci siamo detti: in Italia abbiamo capito qual è la ricetta giusta, vediamo se riusciamo ad arrivare in fondo anche in Europa. Berlino fu un insieme di fattori non tutti calcolati, anche se il valore di quel percorso resta alto. Ma ci mancavano mentalità ed esperienza. Le abbiamo ottenute con due strade: da una parte con la crescita delle persone che erano già nella società e nella squadra, che hanno acquisito sicurezza ed esperienza nel corso degli ultimi anni; dall’altra con l’inserimento di giocatori come Khedira e Mandzukic fino a Dani Alves, che quest’impronta ce l’avevano ben forte”.
Sulla vittoria del sesto scudetto consecutivo
“Juve senza avversari in Italia? Non sono d’accordo. Roma e Napoli hanno sempre inanellato risultati positivi e credo che la seconda classificata in questi anni abbia perso al massimo cinque o sei volte a stagione; questi sono numeri che dimostrano la loro competitività. Vedo società che trascurano l’aspetto societario e l’organizzazione, ma nel calcio moderno senza un manager che sia un solido punto di riferimento all’interno della società e una precisa divisione dei compiti non si va da nessuna parte. Ci sono club in Italia dove non si capisce chi sia al comando e ciò genera confusione che si ripercuote nei risultati dei quali nessuno sembra avere responsabilità”.
Sulla scelta dei giocatori per la squadra
“Come si sceglie un giocatore da Juve? Ci sono due livelli: o prendiamo un campione già affermato – vedi Dani Alves, Mandzukic, Khedira, Higuain, eccetera – oppure cerchiamo il talento. Ma, attenzione, un talento che possa diventare campione: cioè uno che accanto alle qualità tecniche dimostri di avere dei valori umani che lo trasformano in campione, come per esempio è capitato con Dybala. Con Paulo ci saranno, come da nuovo contratto, delle comuni attività di valorizzazione e c’è l’intenzione di fare un lungo percorso insieme. La clausola rescissoria per me è una follia, non la metterò mai su un giocatore. Non è un vantaggio, ti mette nelle condizioni di debolezza. Quella di Higuain? Non so se De Laurentiis avrebbe comunque rifiutato 90 mln…”.
Sulle critiche ricevute dall’ambiente bianconero
Passando poi a parlare degli attacchi esterni ricevuti da club e squadra, Marotta aggiunge: “I tifosi vorrebbero che difendessimo di più il club dagli attacchi esterni, io sono stato per qualche decennio dirigente di squadre meno importanti e ho sempre visto la Juventus come una società forte e vincente. Quando uno è forte e vincente subentra la cultura dell’invidia e quindi la vittoria viene denigrata o svilita. Quando uno vince è perché è più forte in tutte le componenti. Purtroppo nel nostro calcio c’è molta cultura dell’invidia e poca cultura della sconfitta. In Italia, spesso i nostri avversari hanno perso dando la colpa all’arbitro o qualcos’altro. Questa è la cultura dell’alibi. E’ un concetto sbagliato da sradicare, perché toglie responsabilità ai giocatori, alimentando in loro una mentalità perdente. Se noi in questi sei anni abbiamo fatto quasi cento punti più del Napoli e della Roma e non so quanti più delle milanesi non si può discutere la supremazia chiara e netta. La Juve è sempre sotto attacco perché è un bersaglio che garantisce molta popolarità a chi lo colpisce. I benpensanti del nostro Paese hanno capito che parlare male della Juventus genera consensi, anche per una questione meramente statistica: ci sono quattordici milioni di juventini e tutto il resto è contro”.
Su Paratici e Allegri
“Paratici è innamorato del suo lavoro – continua Marotta parlando degli altri componenti dello staff societario bianconero – vive per il calcio e ha un’organizzazione micidiale, una rete di osservatori validissima e un ottimo metodo di lavoro. Passa la vita a vedere allenamenti e partite, analizzando tutto. Quella della scorsa estate forse è stata una delle migliori campagne acquisti della nostra storia. Adesso però non vorrei che si generasse l’aspettativa di qualcosa di simile. Vogliamo rafforzare la squadra, questo è certo. Allegri via dopo il 3 giugno? Speriamo che non accada, ci piacerebbe andare avanti con lui che ha dimostrato di essere un grande allenatore, ora è uno dei migliori al mondo. Dopo Cardiff ci sederemo al tavolo e non solo con Allegri, per ascoltare tutti. Al momento non ci pensiamo neanche a cambiare. Non lo consideriamo”.
Sul mercato
Infine, qualche parola sul calciomercato, del passato e del futuro, con la sessione estiva che si avvicina: “Il colpo migliore della mia gestione? Andrea Pirlo, da più parti era considerato un giocatore finito. Cessioni eccellenti in vista? Assolutamente no, nessuno vuole andare via e noi non abbiamo come obiettivo quello di realizzare plusvalenze. Dybala? Non ha prezzo, per lui c’è un progetto alla Del Piero. Per quanto riguarda Kean dobbiamo negoziare la sua permanenza con l’agente, Mino Raiola. E non possiamo andare oltre certi parametri economici sul suo stipendio. Apprezzo molto Mino, con lui si può litigare ma ha una sola parola, non è ambiguo come altri suoi colleghi”.
Fonte: SkySport