“Spalletti ha fatto il cambio giusto”. Così il presidente della Roma Pallotta sul mancato ingresso del capitano a San Siro. Quello di Totti sarà l’ultimo addio di tre grandi bandiere che hanno scritto la storia. La sua vicenda si avvicina a quelle di Del Piero e Zanetti: casi spinosi, gestiti con difficoltà da allenatori e società
Un rapporto non sempre lineare, la storia, una bandiera, un campione a fina carriera di cui gestirne l’uscita. Una sorta di CapitanExit difficile da curare, con le conseguenze che ne derivano. L’ultimo a dover misurarsi con questa, apparentemente insormontabile, difficoltà è stato Spalletti. Gestire il finale di carriera di Totti, personaggio che trascende qualsiasi logica tecnica o tattica. E’ accaduto prima a Conte con Del Piero, poi a Mazzarri con Zanetti. Allenatori perennemente combattuti tra le scelte utili alla squadra e il rispetto, dovuto, a emblemi di una maglia, simboli di una storia a cui portare rispetto. Spesso uomini soli (come ha spiegato a più riprese Spalletti) contro tutti (i tifosi) con il delicato compito di non macchiare indelebilmente la loro presenza e passare alla storia come “l’allenatore che ha costretto il campione a dover abbandonare”. Capitò, senza accuse troppo velate a Pippo Inzaghi con Allegri. Spalletti, da Roma, ha spesso richiesto l’aiuto della società nella gestione del “caso”, sentendosi non tutelato. Tardive, forse, le parole di Pallotta all’indomani della gara di San Siro che ha generato la nuova polemica: la Sud del Meazza a “rendere omaggio al rivale” rimasto in panchina: “È stato molto bello vedere tutti i tifosi applaudire Totti e la sua mostruosa classe, ma la squadra viene sempre prima di tutto. L’allenatore ha fatto il cambio giusto, perché stiamo combattendo per l’accesso alla Champions League. E comunque se avesse messo Totti gli ultimi cinque o sei minuti qualcuno avrebbe detto che non sarebbe stato rispettoso. Non potrei biasimarlo se dovesse lasciare la Roma, perché i media scrivono sciocchezze ogni settimana. Aspettate la fine della stagione perché avrò molto da dire, vi racconterò tutta la storia”.
La storia intanto, la si ripercorre, bandiere ammainate, cosa è successo nei precedenti casi. Chi, come, perchè?
Del Piero- Conte, il rinnovo e l’addio annunciato
E’ stata gestita con coraggio, non senza polemiche (ma attenuate), da tutte le parti. Innanzitutto il giocatore, sempre ligio al dovere e rispettoso delle scelte dell’allenatore. Atteggiamento derivato oltre che dallo “stile” della persona anche da quanto accaduto prima che le cose potessero compromettere i rapporti. Un annuncio diretto, senza mezzi termini del presidente Andrea Agnelli: “Dedicherei un applauso a Del Piero, in quanto ha fortemente voluto rimanere qui con noi, ancora per un anno, il suo ultimo in bianconero”, arrivato pochi mesi dopo l’ultimo rinnovo. Liberato dalla responsabilità Conte ha potuto gestire l’ultimo anno del capitano con minore pressione, libero nelle scelte e lo ha fatto nel migliore dei modi. Il capitano ha ripagato con il gol Scudetto segnato alla Lazio su calcio di punizione. Poi l’addio, la festa, i ringraziamenti senza rancori e con una Juve ancora vincente.
Zanetti-Mazzarri, lo sgarbo del derby e la festa a San Siro
Rapporto complicato dalla personalità di un giocatore che è stato forse qualcosa in più di una bandiera. Ha incarnato la sofferenza dei tifosi e la gioia del triplete, non a caso è diventato un dirigente, troppo amato dalla gente. E, forse, questo a Mazzarri non è andato completamente giù. L’idea di rivendicare la propria autorevolezza all’interno di uno spogliatoio, si diceva all’epoca, guidato dagli argentini, è stato un clamoroso autogol. Lasciarlo in panchina nell’ultimo derby, ad addio già annunciato, il 5 maggio 2014 è stato letale. Si deve rispetto alla storia, qualche volta la ragion di stato (leggasi scelte tecniche e utili per la squadra) dovrebbe andare a farsi benedire e la presenza nell’ultimo match di quella stagione, con annesso saluto non ha ricucito lo strappo alla bandiera.
Totti-Spalletti, poca chiarezza e società poco presente
Arrivando ad oggi, al capitolo Roma, alla difficile situazione creatasi tra l’allenatore e il Capitano per antonomasia, Spalletti ha rivendicato spesso una maggiore tutela da parte della società, tardiva, come detto, e arrivata con le parole di Pallotta a campionato praticamente concluso. L’attacco all’allenatore è stato forte, deciso, dall’ambiente e dai protagonisti (vedi lo stesso Totti e Ilary), mettendo chiaramente Spalletti in una posizione di soggezione rispetto al tema. Questione gestita con grande difficoltà se si pensa che l’unico a fare davvero chiarezza sul futuro di Totti è stato l’ultimo arrivato, il neo ds Monchi: “Sarà il suo ultimo anno, lo convincerò a fare il dirigente”. E il “bubbone” che continuava a covare è esploso, anzi ri-esploso dopo la vittoria di San Siro. Invocato persino dalla Sud rossonera, lasciato in panchina dal suo allenatore anche a gara praticamente chiusa, testimonianza di una confusione generata dalle critiche qualsiasi fosse stato il comportamento di Spalletti. In campo per 5/10 minuti? Una presa in giro. In panchina? Una mancanza di rispetto.
Situazioni, dunque, complicate dallo spessore dei campioni in questione. Vincere aiuta a gestire meglio, in mancanza di risultati tutto sembra essere più complicato. Un aiuto diretto, anche scomodo, come quello di Agnelli nel caso Del Piero, sarebbe servito anche Mazzarri e Spalletti.
Fonte: SkySport