I razzisti la fanno franca, la vittima del razzismo no
Muntari lascia il campo a Cagliari (ansa) ROMA – I razzisti la fanno franca. La vittima del razzismo no. La lezione che arriva dalla squalifica di Sulley Muntari, elogiato dall’Onu e punito per un turno dal giudice sportivo Mastrandrea, fotografa il paradosso di un sistema che da tempo ha abbassato la guardia nella lotta alle discriminazioni. E che finora ha usato il buon senso solo per ammorbidire la mano contro i tifosi violenti.
La sentenza sta in piedi sul piano giuridico, ma questo non placa l’irritazione, semmai l’accresce. La guida pratica dell’Aia, in relazione alla regola 12, prevede che, se un giocatore dopo aver protestato abbandona intenzionalmente il terreno di gioco, l’arbitro debba considerarlo espulso e comunicare la decisione al capitano. Rigidamente la direttiva è stata applicata dall’arbitro Minelli con Muntari. Che, da espulso, automaticamente è stato fermato per un turno: lo prevede in automatico il codice di giustizia sportiva (art. 19, comma 10), che consente agli organi di giustizia solo di inasprire la sanzione. Eppure esistono altre eccezioni: la prova tv può salvare dallo stop il giocatore espulso per scambio di persona oppure ammonito per simulazione. Tante telecamere e tanti microfoni in campo, utili dal prossimo anno anche per la moviola on-line, non possono, non ancora almeno, fornire un alibi a Muntari. Paradosso: la lotta ai rigori non visti sembra più urgente di quella agli ululati non sentiti. Con un gol fantasma alla Juve, Muntari aprì le porte alla goal line technology. Ora, un’altra ingiustizia di cui è vittima suggerisce una revisione urgente dell’impianto normativo.
Nel 2013, quando il Milan abbandonò l’amichevole con la Pro Patria per solidarietà con Boateng, il giudice sportivo di allora, Tosel, usò il buon senso e osservò che “gli essenziali valori che informano lo sport e la civile convivenza escludono che possa acquisire rilevanza disciplinare un gesto di solidarietà verso un uomo vittima di beceri insulti esclusivamente per il colore della sua pelle”. Era un’amichevole, ma cambia poco: undici giocatori lasciarono il campo e vennero capiti, non puniti. Stavolta invece paga Muntari e non chi l’ha offeso: altro paradosso. I cori, uditi non dagli arbitri ma solo dagli uomini della procura federale, sono stati imputati a dieci persone, troppo poche per integrare il criterio della “reale percettibilità”. Pure qui, regole applicate alla lettera. Però solo quattro anni fa la Figc, recependo e ampliando le direttive Uefa, introdusse regole e sanzioni severe contro le discriminazioni (razziali e territoriali, allora). Poi ha corretto il tiro e introdotto criteri di interpretazione per evitare di sanzionare un club, uno stadio, un settore intero, per le intemperanze di pochi, pur se a sfondo razziale. Di fatto, ha accettato che i razzisti possano insultare un giocatore, ma giusto un po’, senza esagerare.
D’altronde, le curve di Inter e Lazio sono state chiuse per un turno per cori razzisti a Koulibaly e Rüdiger: erano forti e chiari, in questo caso. Però la pena è sospesa per un anno. Nel pugno duro contro il razzismo era nascosta una carezza. pescara calcio
- Protagonisti:
- sulley muntari
Fonte: Repubblica