“Io non ho mai affiancato il nome di Agnelli alla ‘ndrangheta”, aveva chiarito prima il procuratore della Federcalcio Giuseppe Pecoraro nel corso di un’adizione molto tesa, nel corso della quale si sfiora quasi la rissa verbale. Rosy Bindi l’ha chiusa così: “Abbiamo chiarito un punto: il prefetto ammette che in quella telefonata non si parla di Agnelli”. E “quella telefonata” era una presunta intercettazione che Pecoraro avrebbe attribuito al n.1 del club bianconero e in cui invece a parlare erano il security manager D’Angelo e il responsabile marketing Calvo, che si confrontavano sulla posizione di Rocco Dominello, a giudizio a Torino con il 416 bis: “Hanno arrestato i due fratelli di Rocco, lui è incensurato, noi parliamo con lui”. Insomma, Pecoraro è costretto a rettificare: “Da una lettura migliore delle intercettazioni, ora attribuisco al pubblico ministero quello che ritenevo un riferimento a Agnelli”. Insomma, Pecoraro chiarisce e in qualche forma rettifica la prima audizione. Ma il procuratore della Federcalcio non si rimangia le proprie dichiarazioni fino in fondo.
“Siamo qui dopo una richiesta di chiarimenti da alcuni componenti della commissione, su un’intercettazione riguardante Agnelli”, era stata la premessa della presidente Bindi. Chiarimento arrivato, ma non sufficiente a chiudere la partita. Al punto da scatenare una mini-rissa con il senatore Esposito, agguerritissimo nel voler chiarire la questione. Pecoraro inizia citando una serie di audizioni integrali, parzialmente inserite nel deferimento. Il tema diventa in fretta uno: Agnelli era consapevole dell’estrazione di Rocco Dominello?
Pecoraro, alle corde, cita un’intercettazione del 9 agosto 2016 tra D’Angelo e l’addetto agli arbitri della Juve, Pairetto: “Tutti sapevamo dell’estrazione familiare perché ci siamo informati su Facebook, su Google. Mi sono detto: ‘questo ha 40 anni ed è incensurato, questo ha scelto una vita diversa dalla sua famiglia’”. E giocando di rimessa, ricolloca il proprio ruolo nell’alveo della giustizia sportiva: “Per me tutti vuol dire tutti. Ma io mi occupo di giustizia sportiva, e tutto questo dimostra che c’è permeabilità nella società, perché il bagarinaggio viene fatto da malavitosi”.
Per il resto, non fa altro che trasformare l’accusa diretta (oppure no?) della prima audizione, in un’espressione di “valutazioni”. Per giustificarle, cita anche il colloquio intercettato tra Agnelli e il legale, che ricostruendo gli incontri confermati con Dominello, li colloca in un periodo tra maggio e giugno 2012: “siccome arrestano i fratelli di Dominello a settembre/ottobre, per noi la data è abbastanza buona, noi siamo abbastanza coperti perché quando lo vediamo non erano ancora arrestati”. Ma qui è Bindi a intervenire, bacchettandolo: “Non possiamo trarre conclusione che quella data è volutamente creata perché precedente all’arresto, lasciamoci la libertà di interpretazione”.
“Siamo convinti che la curva della Juve non sia l’unica permeata dalle mafie”, dice a fine audizione il vice presidente Marco Di Lello. “Gli interessi delle mafie sono tanti, non solo biglietti ma anche merchandising, gestione parcheggi e servizi di pulizia, oltre il match fixing. A conferma della bontà di un’indagine che chiuderemo prima dell’estate”. Intanto, il consiglio di presidenza della commissione ha fissato le nuove audizioni: Andrea Agnelli comparirà a inizio maggio, martedì invece sarà ascoltata la sostituto procuratore della Dda di Napoli Enrica Parascandolo, per riferire sul boss Lo Russo a bordo campo durante alcune partite del Napoli. A seguire compariranno i presidenti di Crotone, Genoa, Lazio, Inter, Milan Napoli e Roma e il capo della polizia Gabrielli.
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- Protagonisti:
- rosi bindi
- andrea agnelli
- giuseppe pecoraro
Fonte: Repubblica