Baggio, il campione diverso rimasto tra noi con la sua assenza
MISSING. A 50 anni Roberto Baggio è fuori: dal gioco, dal calcio, da ogni falò delle vanità. Ha smesso da oltre dieci anni di misurare il mondo con le righe del campo. Non rilascia interviste, non parla di calcio, non presenzia. Gli è riuscita la magia di scomparire dal palcoscenico, di evitare l’invenzione della nostalgia, niente più c’era una volta in America. Se n’è andato senza avere conti in sospeso con i ricordi, fedele all’idea che un addio è un pallone che non torna indietro. Via la luce, i crucci, e niente più finte. Eppure è stato il pre-Messi e il pre-Neymar, l’ultimo attaccante italiano Pallone d’oro (’93), e l’anno dopo poteva ripetersi (secondo dopo Stoichkov), l’unico azzurro ad aver segnato in tre mondiali diversi (’90, ’94, ’98), due figli in coincidenza: Valentina (’90), Mattia (’94), l’ultimo, Leonardo, nato invece nel 2005. Miglior marcatore (9 gol) con Rossi e Vieri. Selezionato in nazionale con cinque squadre diverse: Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna e Inter. Convocato da 4 ct: Vicini, Sacchi, Maldini e Zoff. Osteggiato e contestato da molti di più, spesso trattato da zoppo, da numero 10 dimezzato, banale portatore di male.
Un diverso, un atipico, uno col codino, poco macho, e per di più buddista. Un coniglio bagnato, per l’avvocato Agnelli. Un nove e mezzo per Platini. Un asso rococò che mette il dribbling anche nel caffellatte, per Gianni Brera. Un involontario agitatore sociale, sempre per l’avvocato Agnelli. “Una volta scendevano in piazza per protestare contro la Fiat, oggi perché Baggio non vada alla Juve. Direi che il paese è migliorato”. Questo prima che Baggio si rifiutasse in maglia bianconera di battere un calcio di rigore contro la Fiorentina, ma soprattutto contro la sua ex città Firenze, che per tenerlo era scesa in piazza, come una madre che non si lascia strappare il figlio, scontrandosi con la polizia, con le vecchiette che dalle terrazze di piazza d’Azeglio gettavano i loro vasi di gerani e di limoni contro gli agenti. Baggio per la città era un bene culturale, un quadro degli Uffizi, un Michelangelo moderno, fa niente se nato in Veneto, era comunque un fratello rinascimentale, pure la sua ricerca del tiro a giro sul secondo palo. Tanto che il questore definì la rivolta “una psicosi di folla”, senza capire che il calcio nelle sue geometrie distribuisce sentimenti e che il cuore non sempre può essere dribblato.
Baggio è uscito dal campo il 16 maggio 2004, dopo sedici anni di sorrisi, ma anche di dolori e di ginocchia sfasciate, con una sola frase: “Ho dato tutto”. E non è più rientrato se non un tentativo federale di farlo presidente del settore tecnico, incarico di facciata lasciato dopo tre anni. L’uomo sbagliato al posto sbagliato. Baggio non ha mai preteso, né comandato, né commentato. Soprattutto dopo la sua conversione buddista: “Tutto arriva dentro di me a mia insaputa”. È rimasto un figlio della società contadina, un principino della zolla, uno che amava giocare a calcio, non parlarne, tutto quello che rotola attorno al pallone non gli interessa. Tv, conferenze, visibilità: no grazie. E nemmeno fare l’ambasciatore tra i fili d’erba. Non ha più rimesso gli scarpini. Non guarda più le partite, fa eccezione solo per la squadra argentina del Boca Juniors. Non ha mai voluto costruire un impero, gli bastava essere il cavaliere della passione, il Crociato del divertimento. Si è sottratto da quel “da quando Baggio non gioca più non è più domenica”, come canta Cesare Cremonini. Però il calcio italiano anche a Sanremo è ancora quel suo rigore calciato alle stelle nello stadio di Pasadena nel ’94, a undici metri dalla felicità, anche se non è detto che l’Italia senza quello sbaglio avrebbe vinto il mondiale (prima di lui avevano fallito Massaro e Baresi). Come se quella grande illusione contasse ancora di più della grande impresa del 2006.
Nel 2010 a Hiroshima, votato dai premi Nobel, ha avuto il World Peace Award, primo caso di un calciatore che vince il titolo di Uomo di Pace per i suoi assist alla difesa dei diritti umani. A 50 anni la vita è fatta di altre partite. E si può segnare in altri modi. Conigli bagnati si asciugano e corrono felici.
50 anni
- Protagonisti:
- Roberto Baggio
Fonte: Repubblica