L’Atalanta, il Napoli, il tumore e il rapporto speciale con Lippi. Bordin si racconta: “Riparto dalla Moldavia”
A luglio lo avevamo lasciato in trattativa con alcuni club di Lega Pro, ma il fascino della Champions ha sedotto anche Roberto Bordin. La fase a gruppi della massima competizione europea è l’obiettivo principale dello Sheriff Tiraspol, ma non l’unico argomento che ha convinto l’ex vice di Andrea Mandorlini a dire di sì al club moldavo. Ma andiamo con ordine.
La sua è una di quelle storie, da raccontare e sarebbe un peccato non partire dall’inizio. La prima cose che incuriosisce di Bordin è il luogo di nascita, Zawiya: “Sì, perché miei nonni sono stati tra i primi emigrati italiani ad andare giù in Libia” – racconta Bordin ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Mio padre aveva un anno quando si trasferirono lì, mia madre, invece, è nata in Libia come me, ma da genitori italiani. Io sono rimasto in Libia fino all’età di tre anni. La passione per il calcio è nata in Africa, dove mio padre giocava: sono nato con la palla tra i piedi. Quando ci trasferimmo in Italia, a Sanremo, mio padre continuò a giocare e così a 11-12 anni lo convinsi a iscrivermi nelle giovanili della Sanremese. Da lì partì tutto. Feci la trafila del settore giovanile fino alla prima squadra. L’esordio nel professionismo arrivò in C1, nel campionato 1982-1983”.
Una delle squadre che più ha segnato la carriera di Bordin è l’Atalanta: “Era una squadra fortissima. La stagione precedente al mio arrivo, nonostante fosse una neopromossa, riuscì a qualificarsi per la Coppa Uefa, sotto la guida di Emiliano Mondonico. In campo c’erano fuoriclasse come Caniggia, Evair, Strömberg solo per citarne alcuni. Centrammo due settimi posti nel periodo d’oro del calcio italiano, impresa difficilissima e ci togliemmo delle grandi soddisfazioni”. Già, Bordin arrivò a Bergamo con un settimo posto e un grande come Emiliano Mondonico in panchina e concluse l’esperienza bergamasca con un altro settimo posto e un altro mito delle panchine italiane, Marcello Lippi. Qualche anno prima fu allenato da Arrigo Sacchi a Parma. Insomma, non sono di certo mancati i grandi maestri: “Tre grandi allenatori, profondi conoscitori di calcio, in grado sempre di motivarti nel modo giusto e tre grandissimi strateghi. Con Marcello Lippi ho avuto la fortuna di avere un rapporto privilegiato ed è stato veramente un papà per tutti i ragazzi di quell’Atalanta. Con lui si stava bene e noi eravamo sempre pronti a dare il massimo”.
Tanto è vero che poi Lippi si porto Bordin a Napoli… “Sì, vero. Era una squadra in fase di ricostruzione dopo i fasti dell’era Maradona. Nonostante le difficoltà e il fatto che l’organico fu completato solo all’ultimo, l’ottimo lavoro della società e della dirigenza ci permise di qualificarci per la Coppa Uefa. Fu un traguardo assolutamente inaspettato e che premiò Lippi”. Parlavamo prima del grande temperamento di Bordin in campo. Anche la vita lo mise di fronte a una partita difficile. Nell’estate del 1996 a Bordin fu diagnosticato un tumore alla tiroide: “All’inizio fu indubbiamente un fatto che mi sconvolse: fu terribile. Tutti noi pensiamo di essere immuni, che una cosa del genere non potrebbe mai capitare a noi. Lo sconforto durò poco. Il mio carattere unito a una grande determinazione mi permise di affrontare subito la situazione di petto. Sono riuscito nel giro di pochi mesi a ripresentarmi in un campo di calcio e riprendere a pieno la mia attività agonistica. Mi è costato tanti sacrifici e sofferenze, ma alla fine ho vinto la mia battaglia”.
Una persona così speciale non poteva che essere premiata anche al termine della carriera da calciatore, nel 2005. Mandorlini lo ha voluto con se come vice nel Bologna: “Abbiamo un ottimo rapporto da sempre. Io ho giocato per Andrea negli ultimi anni di attività e quindi conoscevo la sua mentalità e il suo modo di intendere calcio, come allenava le squadra e cosa chiedeva ai giocatori. Siamo stati assieme dieci anni e il rapporto si è interrotto l’anno scorso, da amici. L’esperienza con lui mi ha permesso di intraprendere questa carriera da solo e così eccomi qui in Moldavia. Mi ha contattato il direttore sportivo, che ho conosciuto ai tempi del Cluj. Mi ha detto che c’era questa possibilità in una squadra storica e ambiziosa della Moldavia, se avevo intenzione di farmi due chiacchiere con la società. Dopo aver visto un’amichevole abbiamo trovato l’accordo”.
Prime impressioni? “E’ un club molto organizzato, con un centro sportivo bellissimo. Hanno due stadi all’interno, sedici campi d’allenamento, un campo in sintetico al coperto con mille posti. L’obiettivo è quello di vincere il campionato e di presentarci così ai preliminari di Champions League. Il sogno è quello di passare alla fase a gironi, fatto mai avvenuto nella loro storia. Se mi porterò qualche italiano? Per il momento sono contento della rosa che ho, poi vedremo nel corso del campionato. Alla pausa di dicembre potremmo tracciare un primo bilancio: ora non sarebbe corretto parlare di altri giocatori”. Un motivo in più per seguire con simpatia il campionato moldavo.