Damascelli: «Juventus-Milan, nessuno parli di pareggio»
Non siamo al casino ma per Juventus e Milan rien ne va plus, in caso contrario basterà togliere l’accento e il casinò diventerà per chi uscirà sconfitto, un casino. Non è il caso di girarci attorno, la partita può rappresentare la svolta oppure la dichiarazione di crisi ufficiale, definita e definitiva. Ovviamente nessuno parli di pareggio, non servirebbe a nessuna delle due e aumenterebbe gli equivoci. La Juventus non può e non deve perdere. Non gioca un bel football e sembra un ristorante che ha conservato l’insegna ma ha cambiato lo chef e troppi camerieri. Il Milan è un albergo a ore, gente che va e gente che viene, due amministratori delegati, un presidente che vuole vendere, un compratore che sembra quello che si comprava da Totò la fontana di Trevi, Allegri garantisce che la squadra recupererà il tempo e i punti perduti, Mihajlovic vede l’ombra di Guidolin, avesse detto, ma Berlusconi deve già pagare gli emolumenti di Seedorf e Inzaghi e non avrebbe voglia di smentire il detto latino giurisprudenziale, tertium non datur.
La sfida delle due ex finaliste di coppa dei campioni a Manchester è diventata una roba da vieni avanti cretino, si gioca sulla nostalgia, si procede con la memoria di antiche partitissime ma oggi il superlativo è diminutivo, la Juve non è più Juventus e il Milan non è più il grande Milan. Può accadere di tutto ma l’importante è che accada davvero, le premesse suggeriscono di darsi all’ippica, quale calciatore eccita il popolo bianconero? Quale rossonero quello milanista? C’è chi rimpiange Balotelli e sono lacrime ridicole per un mezzo giocatore spacciato per fenomeno. C’è chi ha l’immagine sacra di Pirlo e non si rende conto che quando si ha ancora bisogno di un trentaseienne, comunque mirabile, significa che gli sbarbati sono poca cosa davvero. Di certo la Juventus ha doveri e urgenze più forti, giocherà anche in Champions mentre il Milan è fuori dall’expo calcistica che era la sua fiera abituale. La Juventus di Allegri non ha ancora convinto come aveva fatto lo scorso anno, quando l’effetto Conte, rivalsa e serbatoio ancora pieno, avevano prodotto risultati magici. Molti affanni in difesa, confermati dalle prestazioni in nazionale, centrocampo da risettare, attacco da definire una volta per tutte, perché il turnover voluto da Allegri ha generato confusione. C’è una sola certezza, a mio giudizio: Dybala. Nessuno può discuterne qualità e genialità, se l’Argentina che ha il deposito pieno di attaccanti (Higuain, Messi, Di Maria, Lavezzi, Aguero) ha convocato e utilizzato il ragazzino della Juventus, come alternativa ai fenomeni di cui sopra, i casi sono due: o Dybala è uno vero o non è possibile che seguiti a fare la riserva e di Morata, Mandzukic, Zaza che non mi sembrano superiori e nemmeno affiancabili al quintetto dei tanghisti di Tata Martino.
Allegri non è soltanto un allenatore ma come responsabile tecnico è anche un dirigente, dunque non può svalutare un patrimonio contabile del club che è quotato in Borsa, a meno che se ne freghi dei denari, tranne i suoi come altri allenatori, e pensi soltanto alla formazione da mandare in campo. Mihajlovic si ritrova in situazioni analoghe: Bacca è arrivato per caso, non certo come priorità, Balotelli è out e promette di tornare presto (anche con gli auguri del suo sodale Lapo Elkann), L. Adriano non è mai certo di essere titolare, alle loro spalle molte incertezze fatta eccezione per Bonaventura che è italiano tra troppi foreign players e purtroppo porta un cognome travet, da fumetto dei favolosi anni Trenta e Quaranta e Cinquanta! (Il grande Sergio Tofano disegnò il signor Bonaventura, tipo squattrinato all’inizio e milionario alla fine delle sue avventure strambe, lo segnalo ai giovani che vivono nel cyberspazio) e se la difesa ha ritrovato monsieur Mexes come cardine, allora ci risiamo con il passato che è straremoto e straremato. Totale: è come se fosse una finale, in tutti i sensi, dopo non ci sarà più nulla. Anzi, per chi perde, sarà l’inizio della fine.
tuttosport