Nunzia Marciano, giornalista, scrive su “NapoliMagazine.Com”: “Da Benitez a Sarri, da Higuain alla maglia. Nella prima settimana senza il calcio, tifosi, giocatori, allenatori ed addetti ai lavori, si godono caldo, sole e mare. Almeno chi può. Ma anche se sdraiato per la meritata tintarella, il cuore e la testa di un tifoso tornano sempre e comunque alla stagione appena conclusa. Ripercorrono partite, rivivono mentalmente doppiette e sestine, grandi goleade, gol nei minuti di recupero, sorridono per le qualificazioni varie ed eventuali, prima naturalmente di tornare con i piedi per terra. E guardare in faccia alla realtà. Una realtà di coppe sfumate, finali comprese, da quella d’Italia a quella d’Europa. Un presente di speranze insperate e miseramente sfumate nell’ultima partita di questo campionato, appena una settimana fa ma lontana anni luce. Il tifoso serio deve così fare i conti col ricordo di una squadra-non squadra, di un rigore sbagliato, di una possibilità di qualificazione ai preliminari di Champions letteralmente presa a calci, e nemmeno quelli giusti, da un Napoli poco convinto e poco motivato, di certo molto meno dei 70mila tifosi che lo incitavano dagli spalti. Quelli che ci credevano ma che hanno visto una Lazio più convinta stra-vincere e meritare. Si deve fare i conti con un Gonzalo campione e incolore, con un De Guzman uomo-partita e uomo-invisibile, con un Hamsik capitano in crisi. Con il mistero Zuniga e il vago ricordo di un tale Michu. E ancora con un cavaliere oscuro reo troppe volte. Tifosi che hanno già fatto i conti con l’addio di un grande allenatore, Rafa Benirez, ora sulla panchina del Real Madrid osannato come un Dio, mentre qui era solo un “chiattone-incompetente”. C’è chi si è chiesto perché sia andato via da Napoli. Io mi sono chiesta perché sia durato due stagioni. Una città intera che si è risvegliata di botto da un sogno e che quando la Juve ha perso la Champions, contro quella signora squadra che è il Barcellona, ha festeggiato che nemmeno se la Champions l’avesse vinta il Napoli, si festeggiava così. Acqua passata. Ora lo sguardo volge avanti. A Sarri. Sarà lui a sedere sulla panchina del Napoli di domani. Lui che fino a ieri ha allenato un Empoli da 2-2 al San Paolo e da 4-2 al Castellani. Un nome che già divide, tra chi sperava nel tecnico internazionale, per poi dire che però non “capisce il calcio italiano” e un nome nostrano che gioca un buon calcio. Il Napoli di domani avrà uno stadio nuovo e tifosi a riempirlo, avrà un italiano in panchina e forse un argentino in campo. Ma dovrà avere giocatori motivati soprattutto, giocatori attaccati a quella benedetta maglia. Giocatori capaci di sudarla ed onorarla. Calciatori veri, che non danno “capate” agli avversari, anche se lo stadio è quello dei “lavali col fuoco”. Che non snobbano i tifosi che poi li contestano, che non si arrabbiano in campo senza però mai reagire, che non giocano a tratti senza mai veramente crederci, che non illudono per poi sistematicamente deludere. Che non si fanno distrarre da una città tentatrice per poi ritrovarsi in un ritiro punitivo da una società che le sue colpe dovrebbe ammetterle di più. Professionisti insomma. Capaci di far gioire, ma anche penare, per carità, capaci di vincere ma anche di deludere, perché in fondo anche un andare al di là del risultato è consentito ed applaudito se però si è giocato con onore e passione. Perchè se si gioca con amore, come quello che ci mette chi ha il cuore che batte azzurro, anche una sconfitta, in fondo, “ci può stare”.