Nunzia Marciano, giornalista, scrive su “NapoliMagazine.Com”: “Come quando stai per mollare la cima, come quando stai per “appendere” e lasciare, come quando stai lì lì per chiudere baracche e burattini e andare a casa. Come quando pensi “Ma Higuain che sta facendo?!”. E ti avvilisci. Insomma, come quando hai deciso di lasciare definitivamente a uno. E poi quello prende e ti regala 101 rose rosse. Come il Pipita che prende e fa assist e gol. Ecco, questo è stato Napoli-Milan al San Paolo, una partita iniziata alla grande che sembrava proseguire, però, dritta verso un disastro ma che poi è finita in gloria. In goleada. In tre reti. Dall’espulsione rossonera al rigore sbagliato, dal palo del capitano agli innumerevoli tiri fuori porta, praticamente in curva. Da una prestazione opaca ad una straordinaria. Il tutto nel giro di 7 minuti. Tanti sono bastati agli azzurri di Benitez per ribaltare il disastroso risultato dell’andata, di quel 2 a 0 in casa rossonera, di quel 14 dicembre 2014, della prima delle strigliate di Patron De Laurentiis. Da lì il Napoli invertì la rotta, prima di frenare e poi ripartire ancora. Al San Paolo del ritorno va in scena il Napoli dei gol infilati uno dopo l’altro, neanche il tempo di applaudire il Capitano che segnava il Pipita, neppure il tempo di esultare per il gol che la metteva dentro Manolo. In 90 minuti più recupero il Napoli ribalta una prestazione opaca e la trasforma in tre gol. Nella notte di Fuorigrotta, nella notte del ricordo, nella notte del tutto per tutto, dove tutto accade. Dove tutto si può fare. Dove il Napoli sa fare. Sa far dimenticare l’Empoli, sa far spettacolo con un grande Insigne e sa far debuttare anche un buon Luperto. Insomma, il Napoli può. Tutto. E davvero il “si può fare” diventa più concreto, gli obiettivi si possono centrare, i punti persi si possono recuperare. Ora c’è il Dnipro della semifinale d’Europa, ora è tempo di restare concentrati, è tempo di vincere e basta. Di superare le difficoltà, gli attimi di smarrimento e le brusche frenate. Ora si deve correre e poi volare. In alto. Guardando al cielo. Guardando a chi non c’è più. Al San Paolo 365 giorni dopo, l’aria era strana, era tutto un “io quella notte c’ero”, “io mi ricordo”, o “a quest’ora era già successo”. Il pensiero è andato a Ciro, alla notte del non-calcio. Alla notte della violenza più assurda. Alla notte della pura e innaturale follia. Alla notte dove il bello del calcio si è trasformato nell’orrore della morte. Alla notte di un dire e ridire all’infinito. Alla notte che ha lasciato senza più parole. Quel 3 maggio spartiacque tra giusto e sbagliato. Tra il tifo pulito e una vita spezzata. Il pensiero è andato alla notte dell’Olimpico. Oltre il calcio, oltre il risultato, oltre lo sport, oltre le offese alla sua memoria, oltre le aule dei tribunali, oltre la morte… Ciro Vive”.