Può essere goffo anche un trionfo. Dalla grande bellezza di Wolfsburg il Napoli ricade in una serata di urla e languori: con Hamsik e Mesto tra i peggiori. Ma passa. Entra nell’urna di Nyon per la semifinale di Europa League.
L’imprevisto 1-4 rimanda dall’Alta Sassonia al San Paolo
due squadre disposte solo a recitare parti diverse. Il Wolfsburg dovrebbe aprire il fuoco, fa passare invece il primo tempo offrendo solo a Andjuar un ruolo importante. Ma non sfrutta mai il dominio del gioco e un vantaggio: sulle zone esterne non trova argini, perché Caligiuri dimostra che Ghoulam in fase difensiva è carta velina se Mertens non lo protegge. Sul versante destro il Napoli schiera Mesto contro il più temibile rivale, quel Perisic che Benitez invano richiese a gennaio. Ma al centro i tedeschi sono arrugginiti come auto da rottamare. Nessuno che converta in gol le effervescenze sulle fasce, vigilate male dal Napoli.
Irresistibile diventa la tentazione di spiegare la fragile resistenza del
Napoli all’abolizione del ritiro. Si rassegnino i ribelli della clausura: lo splendore esibito nelle tre gare vinte con dieci reti inseguirà la squadra, quasi a legittimare i metodi coercitivi dell’irascibile presidente. Evitare il ritiro con la telefonata di Maggio è diventato un boomerang: si è rivisto nel primo tempo una squadra di gusci vuoti, protetta da Andujar, dalla coppia centrale Albiol-Britos, appesantita sulle fasce da Ghoulam e ancora peggio da Mesto.
Hamsik, protagonista in Germania e a Cagliari, guarda la partita dalla luna. Senza mai toccare terra. Diventa impossibile senza il suo contributo imporre nel primo tempo la sola strategia per il riequilibrio in campo. Trattenere palla e imporre il sottoritmo. Inevitabile e violenta come uno choc la sostituzione per Hamsik.
Portare la gara sottoritmo controllando il gioco è sistema che disorienta chi corre di più, ma a vuoto. Occorre però la partecipazione collettiva al gioco, oltre ad una indiscussa superiorità tecnica. Doveva dirigere l’operazione Hamsik. Ma ha marcato il cartellino senza entrare in partita.
Tutto cambia nella ripresa. Più che dagli spogliatoi, i giocatori sembrano uscire dal cinema, freschi e ricaricati da un western. Ma prima dov’erano?Ombre, solo ombre erano. Benitez recupera loro la memoria, più che il tè contano le sue urla: la prima azione su spazi lunghi lancia Callejon in rete, per abbattere l’ultima frontiera per la finale di Europa League.
Escluso Higuain riemerso con la confezione del secondo gol (Mertens) e subentrato un felice Insigne ad Hamsik, il Napoli amministra in chiaroscuro ed un 4-4-2 torbido con Zapata e Mertens punte, ma il modesto 2-2 del San Paolo basta per entrare in semifinale dopo 26 anni.
Benitez si conferma specialista di Coppa in giorni di forte tensione. Si è capito che condiziona la sua conferma ad una improbabile scalata: avere i pieni poteri in società, con un incontrollato badget per gli acquisti. Vuole decidere senza passare per il filtro di Maurizio Chiavelli, il signornò addetto al bilancio. Benitez lascerebbe accanto a sé. Come assistente personale Bigon, che è entrato nelle grazie del tecnico-manager. E si è esposto sempre in suo favore.
Benitez e De Laurentiis, una sfida inutile che accompagna una fase tormentata: la Sampdoria incombe. Si saprà da Mihajlovic (indicato da Anna Falchi nella trasmissione Number Two di Gianluca Vigliotti, come prossimo allenatore del Napoli) qualcosa di più chiaro. Mihajlovic potrà risolvere due interrogativi che lascia questa
concitata qualificazione.
Questo Napoli geniale e puerile può rifarsi in
campionato risucchiando Roma e Lazio? E ancora meglio: può davvero evitare ancora al ritiro?
Antonio Corbo per Repubblica.it