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In finale una Juve stellare, Fiorentina troppo timida

allegri_gettyNon tutti i Matri vengono per nuocere. Anzi. Juve più forte dell’infortunio di Tevez nel pre-partita: il suo sostituto, Alessandro Matri, ha infilato la prima rete. Juve più forte di ogni avversità e turnover: mezza squadra titolare dislocata tra panchina e tribuna, eppure quel che sembrava impossibile è diventato reale. Juve più forte e basta: epocale rovesciamento di frittata, mai era successo che i bianconeri in Coppa Italia si qualificassero dopo una sconfitta in casa all’andata. Sette precedenti, tutti negativi. All’ottavo tentativo, il ribaltone. Clamoroso al Franchi, in finale va la Juve. La Fiorentina aveva in banca un capitale, la vittoria per 1-2 allo Stadium nel primo atto, e l’ha dilapidato in un’ora scarsa. Due a zero per i bianconeri all’intervallo, terzo gol a un passo dal sessantesimo. Un blitz che brucerà per anni sulla pelle dei fiorentini, da queste parti nessuno aiuterebbe mai la Signora ad attraversare la strada.
CONCESSIONI Eppure ieri sera la Fiorentina è stata molto galante con nostra Signora degli scudetti. La prima e più grave concessione ha riguardato la mentalità. La Juve aveva un’applicazione e una voglia di molto superiore, i suoi giocatori arrivavano sul pallone sempre un attimo o due prima. C’è stata una scena emblematica, sullo 0-2: quando Pereyra ha messo in rete sulla ribattuta di Neto, il portiere ha avuto un gesto di stizza verso i compagni, tipico dei portieri in quelle situazioni, una cosa tipo, «io posso parare il primo colpo, ma sulla mia respinta ci deve essere uno di voi». Il bello — o il brutto se si guarda la cosa dalla parte della Fiorentina — sta nel fatto che Allegri ha schierato una specie di Juve B. Per infortuni, precauzioni varie e turnover, fuori i titolari Buffon, Lichtsteiner, Pirlo, Pogba e Tevez. Se alla lista si aggiunge Barzagli, rientrato nel giro da poco, si arriva a sei assenti, oltre metà della formazione titolare. Montella poteva giocarsi soltanto due figurine mancanti, Pizarro e Badelj: attenuanti molto generiche, ma molto molto.
INTUIZIONI La differente applicazione mentale non spiega tutto. C’è stato qualcosa di importante anche per strategia. Allegri ha piazzato Pereyra e Morata dietro Matri, per un attacco 2-1. Pereyra tagliava dal centro verso destra e a questo movimento la Fiorentina non ha trovato rimedio. Morata a sinistra ha imperversato. Quando Montella ha rimescolato il centrocampo, accentrando Borja e spostando Aquilani sulla destra e Fernandez sulla sinistra, la sua squadra era già sotto di uno, e comunque non è che il colpo  di mestolo in mediana abbia cambiato chissà che cosa. Anzi. Pereyra vertice alto e abbagliante, Marchisio play basso a dettare tempi e modi. Più passano gli anni e più il Principino migliora per visione del gioco e lettura delle situazioni. Non è e non sarà mai Pirlo, ma si può pensare a lui per il dopo-Pirlo.
DELUSIONI Due i problemi di cui ha sofferto la Fiorentina. In fase di non possesso la linea di mezzo è stata presa alle spalle da Morata e Pereyra. Matri era bravo a tenere impegnati due centrali difensivi su tre, così i trequartisti e gli incursori alle sue spalle si scaraventavano nei vuoti d’aria che si creavano dietro Aquilani, Borja Valero e Matri. In possesso del pallone — altro guaio — la squadra si è adagiata su Salah. È scattato il retro-pensiero fatale che bastasse giocare la palla lunga per il Messi delle Piramidi. Il giochino, riuscitissimo a Torino, qui non ha funzionato perché la Juve si mossa è con attenzione e determinazione differente sull’egiziano. Il lancio per Salah è stato il motivo dominante degli attacchi viola nella prima mezz’ora, incoraggiato dal pubblico di casa che in avvio ha idolatrato il suo nuovo cannoniere: bastava che Mohamed toccasse la palla per suscitare applausi. Quando il tema è stato variato, il latte era già stato versato. La Salahdipendenza della prima parte ha acuito l’inconsistenza del tedesco Gomez, vittima di una di quelle giornate-no in cui viene da pensare che il fondoschiena pesante ce l’abbia lui e non la Merkel.

La Gazzetta dello Sport

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