«È un bergamasco, uno serio con la cultura del lavoro. Basta vedere il modo di esultare per decifrare il tipo di persona». Recensione di Ottavio Bianchi che vive da quelle parti e che conosce bene Napoli per averci giocato, allenato e vinto. È vero, è quasi timido nel parlare, mai visto sorridere, figurarsi se può esagerare dopo un gol. Ventitrè anni e una faccia pulitissima, quasi stona in un mondo di furbi, simulatori e bugiardi. Il Gabbia, lo chiamano così, messi da parte i libri ha fatto il meccanico prima di dedicarsi al football, gemello del gol di sua sorella Melania. A Genova Mihajlovic, che l’ha inventato esterno offensivo, lo rimpiange. Eppure gli hanno preso Eto’o. La verità è che l’attacco della Samp si è indebolito, quello azzurro ha aumentato lo spessore. Cinque reti in due mesi, tre in campionato, uno in Europa League e uno in coppa Italia. Ha sempre fatto gol, per la verità, oltre che essere uno specialista degli assist: dai tempi dell’esordio con l’Atalanta non si è mai fermato. Tra prestiti e comproprietà ha girato tra Bologna, Palazzolo, Montichiari, Cittadella, Bergamo, Genova e ora Napoli. «Quando il Napoli mi seguiva, mi brillavano gli occhi», queste le sue parole. Il Napoli lo ha pagato poco più di dodici milioni, Benitez lo sta sperimentando su tutto il fronte offensivo. Appoggio alla prima punta è il ruolo preferito dal Gabbia, ma anche esterno a destra, o prima punta in casi estremi. «Quando si sbarca a Napoli si punta al massimo, un solo trofeo non basta»è il suo pensiero. Ovviamente la testa è anche all’altra maglia azzurra: all’Olimpico sotto gli occhi del ct Conte non avrà giocato una partita memorabile ma nel secondo tempo ha convinto gli scettici. Un assist sfruttato male, un gol e il secondo evitato da Berisha con un miracolo. Gli sono bastate un paio di settimane per entrare in sintonia con il gruppo e con le idee di Benitez. Da Chievo in poi quattro gol in quattro partite, adesso è a cinque su otto gare.
Il Mattino