LA STORIA Izzo aveva 10 anni quando perse il padre. Giocava nell’Arci Scampia, si divertiva a immaginarsi un giorno con la maglia del Napoli al San Paolo, e il papà sognava insieme a lui. La chiamata del Napoli arrivò sul serio, a 12 anni, ma le priorità erano già altre. Primo di quattro figli, Armando doveva aiutare la mamma a badare ai fratelli, ma anche cercarsi un lavoro. Lasciò per un po’ il calcio prima di ricominciare negli Allievi del Napoli, si impose nella Berretti campione d’Italia nel 2010-11, conquistandosi la convocazione per il ritiro dei grandi. In preparazione si presentò senza scarpe da ginnastica: «Mister, non avevo soldi per comprarle», disse a Mazzarri, che mandò — di tasca sua — un collaboratore a comprarle. Izzo non aveva ancora un contratto, e a soli 18 anni diventò anche papà. Il capitano Cannavaro organizzò una colletta nello spogliatoio azzurro per aiutarlo. Non c’era tempo da perdere, così Izzo, costretto dalla vita a diventare grande in fretta, provò l’avventura alla Triestina in Serie C, dove firmò il primo contratto. L’agente, Paolo Palermo, lo avvisò: «Sarà dura in C». Ma lui determinato rispose: «Mi piace la tua macchina, se faccio venti presenze me la regali?». Tra Trieste e Avellino quell’anno giocò quasi 30 partite, imponendosi nei professionisti e prendendosi l’auto. Sotto la guida di Rastelli cresce nella difesa a tre, conquista una promozione in B che usa come trampolino di lancio. Il Napoli lo perde alle buste per 40 mila euro, Preziosi ne versa 300 mila per portarlo al Genoa in estate. Scampia è lontana, ma sempre nel suo cuore. E il mare di Genova lo fa sentire quasi a casa. «Papà, ce l’ho fatta» avrà pensato domenica a San Siro. E il resto della storia è ancora tutta da scrivere.
La Gazzetta dello Sport