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Carpi diem: viaggio nel sogno della città che comanda la B

L’ANALISI. Società solida con un vertice ambizioso, il club biancorosso sta strabiliando la categoria e lanciando talenti: è il primato della provincia dalle idee chiare. Ma il momento di gloria è parzialmente offuscato dal caso Concas
Il club che potrebbe fare la rivoluzione ha sede in via Marx, e via Marx – che abbraccia i due lati di accesso dello stadio – è una prosecuzione di via Lenin: tutto si tiene, a Carpi, dove anche la toponomastica rende onore all’obiettivo. Del resto, potrebbe essere considerato un piano quinquennale: se a giugno dovesse arrivare la A, in appena cinque anni il Carpi avrà scalato il calcio italiano dalla D sino al vertice. Si tratterebbe di un’ascesa più significativa e rapida di quelle di Chievo e Sassuolo. E’ la provincia che funziona, quella che ci crede: pochi tifosi, tanto orgoglio.

Capitali coraggiosi.
Nel 1997, quando il Carpi di De Canio tentò il primo vero assalto alla B (c’erano Masitto, Pivotto e, per mezza stagione, anche Materazzi), il presidente era un industriale del tessile, da sempre il maggior comparto economico in città. Quell’arrembaggio naufragò in finale play off, e da allora il Carpi è passato attraverso retrocessioni e fallimenti, sino alla svolta con l’arrivo di Stefano Bonacini. Occhio: sempre dello stesso comparto si tratta, ma il tessile si è trasformato in moda, cambiando sia il concetto che il profilo finanziario. Bonacini, patron del Carpi, è il signor Gaudì, uno che nel calcio (da sponsor) c’era già da tempo e che non ha mai fatto mistero di essere un uomo ambizioso. Così come Maurizio Setti, il presidente del Verona, anch’egli carpigiano e marchio in della moda.

Il piano. Tutto d’un fiato: ripescaggio dalla D alla Seconda Divisione, promozione immediata in Prima, sconfitta in finale play off poche settimane dopo il sisma emiliano che ferì anche Carpi, e rivincita un anno dopo con la prima salita in B. La scorsa stagione è arrivata una salvezza tutto sommato comoda, oggi c’è il sogno A. Bonacini lo ha costruito il presidente Caliumi e il ds Giuntoli, che negli anni ha organizzato rose con pochi nomi ma molto competitive: budget non elevati – niente a che vedere con il Sassuolo, per dire, anche se qualche punto in comune c’è – ma solidità, buona gestione e puntualità nei pagamenti. Non è poco, in questi chiari di luna.

Luci. Così il Carpi ha messo il turbo. Prima il vecchio Cioffi, quindi Laurini, Kabine e Arma, poi Memushaj e uomini come Letizia, Gagliolo, Concas e Di Gaudio, che sono cresciuti con la crescita del club, e Pasciuti che c’era anche in D ed è il più amato dagli. Il resto è recente: per un Ardemagni che ha deluso, c’è uno come Mbakogu che Giuntoli acquistò un anno fa immaginando in potenza ciò che ora è in atto. Aggiungete Gabriel, un Castori che ci ha messo molto del suo ed ecco che, dopo 21 partite, la classifica parla di un primato a +9 sulle seconde. Tanto, ma non è una garanzia di successo. Ci sono due cadute da non replicare, quelle del Mantova di Di Carlo (2005-06) e del Sassuolo di Pea (2011-12), mentre l’esempio positivo viene dal Sassuolo 2012-2013.

Fuori porta. Il resto sono un bacino d’utenza limitato – eppure, per dire, superiore a quelli di Empoli e Sassuolo – e un atavico problema strutturale. Già in B, infatti, il Carpi gioca in uno stadio, il Cabassi, in deroga, ed è impossibile pensare a lavori rapidi di adeguamento per ottenere una deroga per la A. In via Marx allora stanno lavorando su diverse ipotesi: non Reggio Emilia (che fu la “casa” del Carpi durante la ristrutturazione del Cabassi), improbabile Modena, Bologna l’idea. La discussione è aperta.

Ombre. Il momento di gloria, però, è offuscato dal recentissimo caso che ha coinvolto Fabio Concas, uno degli uomini simbolo della squadra, trovato dal Coni positivo alla benzoilecgonina dopo il derby con il Modena dello scorso 13 dicembre. Un’ombra che ha stravolto la tranquillità calcistica della città dei Pio. L’imbarazzo, proprio sul più bello.

Fonte: SkySport

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