Sepe: “Voglio tornare a Napoli, è la mia casa. I miei modelli sono Peruzzi e De Sanctis”
Un po’ Peruzzi e tanto De Sanctis, soprattutto se stesso. Luigi Sepe, 23enne portiere in prestito all’Empoli dal Napoli, è una di quelle storie da raccontare benché il bello debba ancora arrivare. Nipote acquisito di Carmine Gautieri, tecnico in lotta per la A e inspiegabilmente esonerato dal Livorno, è cresciuto anche grazie ai preziosi consigli dell’ex attaccante di Roma e Napoli. Dopo la prima in A con Reja al posto di Gianello nel gennaio del 2009 a Firenze (Fiorentina-Napoli, 2-1), il secondo debutto nella massima serie è arrivato con un’altra maglia azzurra, quella dell’Empoli, il 31 agosto del 2014. Finora ha giocato 13 gare, effettuando 41 parate decisive, guadagnandosi un posto tra i portieri emergenti: accanto a Perin, Leali, Sportiello e Cragno c’è anche il talento napoletano. Il contratto con il Napoli è a scadenza a giugno 2016 e anche per questo i contatti tra il ds Bigon e il suo agente, Mario Giuffredi, si sono intensificati nelle ultime settimane. Sul calciatore c’è la Roma, Walter Sabatini lo avrebbe voluto prendere già tempo fa. L’addio ormai scontato di Neto al club viola ha spinto inoltre la Fiorentina sul numero uno corallino che in questa intervista rilasciata in esclusiva al Corriere dello Sport spiega i suoi progetti e i suoi sogni. Col Napoli, possibilmente!
Dove vorrebbe giocare Sepe il prossimo campionato?
«Bisogna vedere cosa decide il Napoli. Il massimo sarebbe tornare a casa, nella società in cui sono stato dai 10 ai 20 anni. Ma non dipende solo da me»
Invece in questo anno appena iniziato cosa spera di realizzare?
«Di giocare il più possibile, crescere professionalmente e cercare di ottenere la salvezza con l’Empoli. Un traguardo davvero importantissimo»
A chi s’ispira tra i pali. Ha un modello?
«Da bambino emulavo Peruzzi. Oggi mi piacerebbe diventare come De Sanctis, per come si pone e per l’atteggiamento che ha nello spogliatoio. E’ un leader vero che ti aiuta, l’ho osservato da vicino, è un personaggio straordinario».
Se potesse scegliere di diventare un fuoriclasse vorrebbe essere più Buffon o più chi… ?
«Buffon è un idolo irreplicabile. Non ne nascono più di calciatori come lui. Eredi è inutile cercarne. Mi piace ispirarmi all’umiltà di Morgan De Sanctis, più vicina alle mie reali possibilità».
Lei ha avuto allenatori esperti come Reja ed emergenti come Baroni e Sarri. Chi le ha insegnato di più?
«Con Reja ero un ragazzino, ci parlavo poco. Il mio interlocutore vero era Nico Facciolo. Baroni mi ha fatto crescere tantissimo sotto molti punti di vista, ma Sarri è quello con cui credo di aver fatto il vero salto di qualità anche perché mi ha voluto e mi ha dato fiducia sin dall’inizio. Io e Matias Vesino Falero, l’uruguaiano arrivato dalla Fiorentina, siamo gli unici nuovi del gruppo a giocare con frequenza».
Cosa serve oggi per interpretare un ruolo così delicato e tanto cambiato rispetto al passato come quello del portiere?
«Serve saper giocare molto con i piedi, aiutare la squadra a salire e a leggere le situazioni anche quando la palla è lontana. E dare sicurezza ai compagni. Oggi bisogna giocare più fuori dai pali che tra i pali. Già con Pane a Pisa lavoravamo così, con Baroni anche ma è con Sarri che ho imparato di più: tutta l’azione parte dal portiere, bisogna saperla impostare».
Nelle ultime settimane il suo agente Giuffredi sta discutendo con il direttore Bigon il rinnovo del suo contratto con il Napoli. A cosa punta Sepe veramente?
«Punto a essere un giocatore del Napoli e a far parte del progetto della squadra che amo di più».
L’impatto con la A sembra non averla turbata più di tanto. Ma giocare al San Paolo sarebbe tutta un’altra storia. Si sente pronto?
«Quando ci giocherò potrò rispondere con più esattezza. Ora penso a lavorare intensamente per esser al meglio se ciò dovesse accadere».
Intanto le sue parate su Callejon e De Guzman hanno consentito all’Empoli di uscire indenne dallo stadio napoletano lo scorso 7 dicembre. Ma quanta rabbia per quella vittoria sfumata…
«E’ stata una gara incredibile. Vincevamo due a zero e a momenti perdevamo la partita. Anzi senza le mie parate avremmo perso. Il Napoli si è svegliato improvvisamente».
Ma che squadra è quella di Benitez?
«Se gioca da Napoli e con continuità durante l’intera gara è davvero fortissima. Io dico a livello di Juve e Roma. Allegri e Garcia hanno organici fortissimi, ma come gioco la Fiorentina mi ha impressionato molto di più e non è da meno di queste grandi che si contendono lo scudetto».
L’eventuale concorrenza di Rafael, l’eroe di Doha, sarebbe uno stimolo o uno scoglio in più per la sua carriera futura?
«Entrambe le cose. Sarebbe uno stimolo perché lui è giovane e gioca già a Napoli da grande protagonista. Ma anche uno scoglio perché io debbo ancora dimostrare di poterlo fare allo stesso modo».
Lo sa che anche la Fiorentina, ormai senza Neto, dopo la Roma, la sta seguendo con interesse?
«Sì, ho sentito. Il mio procuratore cura queste cose e mi fido di lui. Il primo obiettivo è tornare a Napoli. Se ciò non dovesse essere possibile valuteremo insieme la migliore soluzione e il miglior progetto».
Come nasce la sua passione per il ruolo di portiere?
«Ho sempre giocato in porta. Mio padre mi vedeva in una posizione diversa e mi ha scoraggiato. Quasi non mi accompagnava più agli allenamenti. Invece, il mio impegno è stato ripagato e questa scelta è diventata un lavoro importante che io sento sempre più mio».
Qualche consiglio da zio Gautieri è sempre utile. O no?
«Lui mi dice di lavorare tantissimo. E’ stato contento quando sono andato a Empoli. Mi ha incoraggiato, ritenendo che fosse la scelta giusta da fare. Aveva ragione».
Ma portiere si nasce o si diventa?
«Io penso che si nasca con questa vocazione. Per mettere la faccia a terra, in mezzo a un nugolo di gambe, d’altra parte, serve coraggio. E anche un pizzico di pazzia».
Oltre al calcio quali sono le altre passioni della sua vita?
«La famiglia prima di tutto, i miei due figlioletti Giuseppe e Diego (nato il mese scorso, ndr), mia moglie Anna Laura, corallina come me, mia mamma Maddalena e papà Giuseppe. Poi ho una predilezione per i tatuaggi. Ne ho già una decina: ho inciso sulla pelle i nomi di tutti i componenti della mia famiglia, una croce sulla schiena perché sono molto religioso. Credo che Dio esista sopra di noi e ritengo che i defunti ci aiutino ad affrontare la complessità della nostra vita».
Niente discoteche?
«Preferisco viaggiare. A 23 anni ho già visto grandi città come New York, Miami, Parigi belle quasi come Napoli».
A 20 anni era già sposato e papà, da un mese c’è Diego: è già un passo avanti nella sua maturazione anche come uomo?
«Mi sento più grande degli anni che ho. Ho un’etica della famiglia non comune per la mia generazione. Però i miei figli e mia moglie mi danno forza. Sono certo che mi aiuteranno anche ad avere la serenità giusta come calciatore, in campo, nel mio ruolo, è la cosa principale».
Soprattutto per arrivare a giocare in un grande Napoli?
«Sì, spero sia proprio così».
Fonte: Corriere dello Sport