Punto e a Caponi: “Ecco perché sono tornato a Pontedera”
Gioca con il numero 8, indossa la fascia da capitano e per i tifosi granata è una bandiera: “Sono nato qui e qui sono tornato nel momento del bisogno. La promozione in D e quella sfiorata in Serie B, ma qui continuiamo a sognare”
Mediano, capitano e… pontederese?
“Macché, sono pontadarese! E tra l’altro cresciuto nel quartiere di Fuori del Ponte, dove c’è un numero notevole di tifosi. E’ una differenza importante quella tra pontederese e pontadarese: i primi sono quelli che risiedono ma non sono nati qui”.
Ok, pontadarese. Per questo ti considerano una bandiera?
“Ha il suo peso. Il Pontedera è una specie di affare di famiglia perché con questa maglia hanno giocato anche mio padre e mio fratello. Ma credo che la gente abbia apprezzato soprattutto la mia scelta di tornare qui quando ce n’era bisogno, quando la mia carriera poteva prendere anche altre strade”.
Pentito?
“No, perché giocare a casa dà stimoli ed emozioni che non ci sono altrove. Senza dimenticare gli ottimi risultati ottenuti negli ultimi campionati”.
E quello attuale?
“Sta andando bene. La classifica ci permette di sognare come un anno fa, quando ci siamo giocati fino alla fine la possibilità di andare in Serie B”.
C’è un episodio che ha segnato la tua vita e la tua carriera. Ma soprattutto quella di tuo fratello…
“Era la 7.a giornata del mio primo anno in D al Pontedera e ffrontavamo il Sansovino. Sia io che Manuel eravamo in campo: a un certo punto franò a terra privo di sensi per un colpo sotto il meno. Entrò in coma e quando si risvegliò il responso medico, lesioni diffuse al cervelletto, non lasciarono speranze circa la possibilità di tornare a giocare. Ma noi eravamo felici per il fatto che avesse riapreto gli occhi. Oggi sta bene, e questo è ciò che conta, ma non nego di aver avuto qualche timore quando ho rinfilato gli scarpini dopo l’incidente”.
In uno sport sempre più muscolare, voi calciatori vi sentite sicuri?
“I rischi forse sono aumentati e quello della sicurezza è un tema delicato e fondamentale. Il calcio è uno sport estremanente diffuso, anche a livello dilettantistico e amatoriale. L’attenzione che c’è nei nostri campionati dovrebbe essere estesa a tutti”.
La Lega Pro e i giovani: Pinardi del FeralpiSalò, qualche settimana fa, si è detto poco convinto del contrubuto alle società per l’impiego degli under. Cosa ne pensi?
“Che non c’è crescita per i ragazzi. L’obbligo di mandarli in campo ha un senso, certo, ma se il loro talento non espolode subito rischiano di perdersi e finire nel dimenticatoio nel giro di una sola stagione. Non solo, si rischia anche di offuscare l’impegno e le qualità di chi invece ha qualche anno in più. La regola va rivista, bisogna investire sui settori giovanili”.
Tu ne hai 27 di anni. Hai sogni sportivi che vanno oltre il Pontedera?
“Dicono che questa sia l’età della vera maturità per un calciatore. La speranza di poter crescere ancora come professionista non l’ho affatto persa”.
Chi è Caponi fuori dal campo?
“Una persona felice e serena grazie a mia moglie Benedetta ed a mia figlia Caterina. Nella mia vita molte cose sono arrivate presto e la mia famiglia è una di queste. Se mi mancano le cose che di solito fanno i miei coetanei? Macché, è tutto bellissimo”.
Si ringrazia per la preziosa collaborazione i “Matti da Lega Pro” Filippo Mori, ufficio stampa dell’US Città di Pontedera, e il blogger Gabriele Collesano di uspontedera1912.worldpress.com
Fonte: SkySport