Napoli – Il tempo è un galantuomo e tiene viva la memoria: quattordici anni e non sentirli affatto, portandosi appresso i ricordi, però anche i rimpianti, perché quella fu per chiunque un’occasione sprecata. Il Terzo Millennio è una pagina per niente ingiallita intrisa di malinconia che vai a cogliere nelle parole di chi c’era, di chi colse la «svolta» e poi s’accorse che gli era stata strappata di mano, così, senza un perché.
NOSTALGIA. Il piano d’avvicinamento è un revival in quel Napoli, in quell’idea di affrontare la serie A con un calcio sempre «rivoluzionario», di creare un progetto (finalmente), perché a quell’epoca c’era approssimazione e una situazione economica complicata e una piramide societaria inconsueta, due padroni e teorie contrastanti. Gli attaccanti, con Zeman, vivono in un limbo, una sorta di luna park da lasciarsi stordire: fu così che Amoruso pensò d’aver svoltato, di potersi regalare una annata fantasiosa o fantastica e che invece, alla sesta giornata, si ritrovò praticamente impaludato. «Non capimmo il motivo, proprio quando stavamo cominciando a giocare il suo calcio».
LEGITTIMA DIFESA. Ma che fosse stata sciupata una chanche ne abbe percezione anche Salvatore Fresi, il Baresi di Salerno, il centrale difensivo che all’Inter non riuscì a ripetere ciò che aveva fatto con Delio Rossi e che il Napoli acquistò a sorpresa in quell’estate un po’ ondivaga, consumata vanamente alla ricerca di uomini che fossero funzionali al tridente e poi strappata al «Curi» di Perugia, al termine di un pareggio e di una pantomima che manco al «libero» è andata giù. «Quella non fu un’annata bellissima purtroppo; anzi, fu una stagione da dimenticare. Ma fu strano tutto, sin dall’inizio, condizionati dalle Olimpiadi, che fecero partire il campionato tardi…E quando nel calcio non arrivano i risultati…».
IL CARTELLO. A risentirli, è un autentico sodalizio umano e professionale che sta con l’allenatore boemo che oggi torna al San Paolo da avversario, alla guida del Cagliari: Nicola Amoruso, e vabbè, un centravanti, che se la sarebbe spassata o avrebbe potuto farlo; ma anche Salvatore Fresi, il difensore, dunque il rappresentante d’un settore meno privilegiato, secondo quel calcio tutto a trazione anteriore, perché per sognare – nel calcio – bisogna attaccare. «Finì male con la retrocessione ed esonerare Zeman fu un errore, anche perché per sostituirlo arrivò un allenatore che produceva un altro calcio e che non aveva una squadra idonea per seguire i propri schemi». Quattordici anni dopo, c’è un velo di tristezza ancora.
Fonte: Corriere dello Sport