Quattro anni dopo, ma non importa. D’altra parte, Diego Maradona è stato un patrimonio del calcio italiano, per sette lunghe stagioni ha deliziato l’Italia del pallone, e non solo quella. Di quel periodo lui è stato l’emblema, il dissacratore, il rivoluzionario di turno che ha trascinato il suo popolo fin dove mai nessuno era riuscito a condurlo prima. Napoli lo ha adorato, e ancora oggi lo venera, consapevole che senza di lui non avrebbe mai potuto gioire per la vittoria di uno scudetto. E invece ne ha conquistati due, oltre a una Coppa Italia e a una Coppa Uefa. L’Avvocato Agnelli, poi, avrebbe pagato chissà quale cifra pur di vederlo indossare la maglia bianconera, magari al fianco di Michel Platini. E il dualismo con il Milan di Arrigo Sacchi, la resa del primo maggio 1988, quando da sconfitto applaudì i vincitori accompagnato da tutto il San Paolo: quanti ricordi! Tante motivazioni interessanti, al di là di tutto, che hanno determinato il voto della giuria che ha definito i premiati per la quarta edizione della «Hall of Fame del calcio italiano», designando l’ex fuoriclasse argentino come giocatore straniero. Con lui, riceveranno il premio nel mese di gennaio, a Firenze, anche Carlo Ancelotti (allenatore italiano), Fabio Cannavaro (giocatore italiano), Giuseppe Marotta (dirigente italiano) e Sandro Mazzola (veterano italiano). «Voglio ringraziare l’organizzazione di “Hall of Fame” per questo riconoscimento. Per me è un onore essere ricordato insieme ad altri grandi protagonisti del mondo del calcio», ha scritto Maradona sul suo sito. Quattro anni dopo, dunque, per un riconoscimento che Diego si è saputo meritare per una carriera che non ha potuto raccontare fino in fondo le grandi qualità del calciatore e, perché no?, dell’uomo Maradona, fragile quanto un fuscello, troppo debole per potersi ribellare alle tentazioni della droga e troppo solo per combatterla. La perversione ne ha invaso la mente e deteriorato il fisico. La droga, certo, come le notti brave, l’alcool, gli allenamenti saltati, tante vicende di cronaca nera che l’hanno visto protagonista: l’uomo ha avuto sicuramente le sue zone d’ombra. Ma il calciatore è stato il più grande di tutti, un bene prezioso per il nostro calcio, che ha goduto della sua immensa classe. E lo è stato altrettanto per il Meridione tutto, negli anni 80: forte del suo condottiero, il Sud ha combattuto e vinto le battaglie più aspre nel calcio e nel sociale. Di errori ne ha commessi tanti, è vero, ma li ha sempre pagati di persona. Sarà questo, forse, che ne tiene inalterato il mito.
La Gazzetta dello Sport