Lorenzo Insigne: da quel provino all’Inter alla partita di domenica
Questione di centimetri. E a quel tempo erano davvero pochi. Era piccolo. Spalle strette e gambe esili come pioppi. Sulle qualità nessuno ebbe dubbi. E come avrebbero potuto. Sul fisico però… Non ci credettero. E forse un po’ se ne sono pentiti. Storie di calcio. Valutazioni sbagliate, scelte forzatamente frettolose, sofferte, azzardate. Insigne all’Inter è la cronaca di un provino andato male. «Bravo, certo. Ma fisicamente non ci convince. Non lo prendiamo». Succede. E il calcio poi certe decisioni le rinfaccia. Insigne ci rimase male. Gli avevano risposto così anche quelli del Torino. Il metro e la bilancia contavano più dei dribbling. Aveva anche fatto la foto quel giorno della partitina. Gira sul web da anni, ma fa sempre tenerezza. La maglia è a strisce nere e azzurre. E’ larga. Troppo. Pure se è della misura “small”. E’ abbracciato a un altro bambino che chissà se ha fatto carriera. Non si riconosce. Ha i capelli corti, folti e neri. Lo sguardo è già da scugnizzo di buona famiglia. Vivace, furbo, ha la sicurezza di chi sa che con quei piedi sarebbe arrivato lontano. Aveva ragione lui. Ma non ce ne fu bisogno. Insigne da Frattamaggiore… al Napoli. Peppe Santoro ne colse subito le capacità e le proiettò in prospettiva. Capì che sarebbe cresciuto. E non solo tecnicamente. Millecinquecento euro cash, qualche biglietto per il San Paolo e soprattutto la forza di una stretta di mano tra chi si stimava. Personalmente. Insigne al Napoli. Insigne, lui, Lorenzo, quello che domenica, a San Siro, sfida in fondo il suo passato. L’Inter, certo. Ma soprattutto Santoro. E ovviamente Walter Mazzarri. Nemici-amici. I ricordi si perderanno in quegli abbracci annunciati, in quegli sguardi di riconoscenza per sempre, in quei momenti di calcio e perciò di vita che tornano. Pure se contro, avversari. Santoro lo scopritore è ora team manager all’Inter, e da anni è ormai l’ombra, il consigliere, il collaboratore, calcisticamente è tutto, è di fatto il prolungamento in panchina e nello spogliatoio di quel Mazzarri che Insigne l’ha lanciato e visto felice. Il debutto a Livorno, il ritorno a Napoli da Pescara e quei cinque minuti in campo col fratello Roberto. Indimenticabile. Sensazioni uniche, emozioni forti, reazioni. Il calcio è lo specchio dell’anima. E ognuno ha il proprio baule di sentimenti. Lo apri ed è una, cento, mille storie da raccontare. Tutto Insigne. Ma non per tutti. Per ora. Spacca, divide, fa discutere. Il San Paolo a metà nei giudizi. Chi l’ha allenato, schierato e opposto sulla posizione in campo, le caratteristiche e il rendimento. Mazzarri l’ha fatto sentire grande, con Zeman s’è divertito, Benitez l’ha reso mondiale, Prandelli c’ha creduto, Conte non ancora. Era al San Paolo il Ct quella notte di Champions contro l’Athletic Bilbao. E non gli piacque nulla: i fischi, quei gesti di troppo e neppure la prestazione. Non l’ha convocato. Un’altra sosta e niente nazionale. Due settimane a Castelvolturno di libertà condizionata all’umore di chi nella chiamata ci sperava. Il gol col Torino come un tappo saltato. Insigne s’è sbloccato. S’è sciolto in quelle lacrime di rabbia. Ha vuotato il sacco di un talento che qualche tensione di troppo, gli equilibri tattici, lo stress da ballottaggio e la fatica di una fascia da interpretare più che fare, hanno troppe volte ombrato. Insigne è tornato a brillare. Luci per San Siro. Per il Napoli. Per l’azzurro e basta. Senza strisce e senza il nero. Quella maglia da bambino era comunque fuori misura. Insigne è cresciuto più di quanto qualcuno credesse…
Corriere dello Sport